2 II.
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Questo non è il Panegirico di Plinio a Trajano che va
a stampa dietro alle sue epistole; è
un manoscritto antico nuovamente trovato. Senza entrare
in
sia il vero, e fosse recitato a Trajano, dirò solamente, che
questo, e non minori cose contenendomi pare che da
ad
Pisa a di
Nobile, e generoso incarco da voi Padri Coscritti mi viene in questo giorno
poiché lodi vere ad
arrossire ascoltarle. E giorno veramente questo d'eterna memoria sarà, mi lusingo,
se io di Romano Console la maestà, lungamente per la tristizia
riassumendo, saprò dalla sublimità del soggetto, e dall'opportunità de' tempi
degne d'essere da voi ascoltate, da me dette, e da te, Trajano, con quella tua finora
mostrata benignità, approvate. Alla splendida, difficile, e per l'addietro pericolosa impresa
di dire ad un il vero, principio più ragionevole, e santo, principio dar non posso
certamente, che invocando favorevoli i Numi. Tu dunque o massimo Giove, tu, quello che dal Celeste tuo seggio per tanti, e tanti anni degnasti col tuo benigno
sguardo proteggere, ed innalzare questa Romana Republica, tu, che in essa tant a
patrie virtù, tanto coraggio, tante sublimi anime quasi raggi o della tua Divinità
con piena mano spandesti; tu che poscia de'
lungamente sdegnato, in preda ci lasciasti meritamente ai Tiberi, ai Domiziani, ai
Neroni; e tu insomma, che ora impietosito dai continui, feroci, ed orribili mali nostri,
della tua risorta pietà largo regno a dar cominciasti nel concedere Nerva per
imperatore al popolo romano, e più largo ancora nell'inspirare a questi l'adozione
di Trajano, tu Giove eterno, se gl'incensi, le lagrime, i voti nostri nel Campidoglio
a te sacro, ti sono a grado, dopo sì lunga ira,
sovrumani lumi, e più che mortale eloquenza, onde io quest'ottimo principe opera
in tutto tua, ad eseguire tal magnanima impresa risolva, che niuna mai eguale
finora non siasi, non che eseguita, neppure pensata; ed a chi verrà dopo maravigliosa
ammirazione ne rimanga coll'impossibilità d'imitarla.
Io Cittadino Romano, a Principe nato Cittadino parlo; onde se men che liberi, salva però la reciproca
convenienza, fossero i detti miei, tu primo, o Trajano, giustamente offeso te ne terresti,
quasi io malignamente volessi tuo cospetto parla di giusto
Signore, possa giammai temerne l'ingiusto sdegno: avvilirei non poco me stesso
mostrandomi col timido, e dubbio favellare parlare a
che di parlare in nome del romano senato, a quest'ottimo; e non fedele interprete
di Roma, di cui la miglior parte, e
farei del Consolato mio, una trista, e lagrimevole epoca alla Republica, se perduta
una preziosissima occasione di ricuperarle legittima libertà, o ad altri ne cedessi
lo splendido assunto, o coll'averla io negletta, per infingardaggine negletta, o per
timore non ben proseguita, o per poca abilità perduta senza rimedio perduta,
facessi il
eterno rincrescere d'averlo accettato.
Romana Republica è il nome con cui fin ad ora questo
te, Trajano, a te stesso, ed in faccia di Roma, e attestandone i sommi Dei domando dov'è
questa Republica? L'augusto tuo aspetto, la volontaria venerazion nostra, il tuo, e l'universale
silenzio, ben mi rispondono, ch'ella è in te; in te solo; ed in te per favore speciale dei Numi
degnamente sta tutta: ma tu uomo sei, e mortale: purtroppo, e sta pur lungi tal giorno,
ma per quanto sia lungi, sempre affrettato sarà per questa inferma
verrà quel lagrimevole giorno, che noi orbando di un benigno padre, ed il
mondo interno dello splendor suo, a calamitosi tempi, a vicende terribili di fortuna
di nuovo esponendoci, ed in preda mandandoci, tanto più dolorosa, ed intera farà
la rovina nostra, quanto questo breve respiro che sotto il
si è, avea in molti ridestate speranze di più prospera, tranquilla, libera, e sicura
fortuna. Se in te dunque sta la
fondamenti sottosopra rivolgerla è stato sventuratamente concesso agli iniqui tuoi
predecessori, tu mostrare, e convincere dei
nuocere l'autorità vostra si estende: tu, se
benché immensi, e di conseguenza lagrimosi, e lunghissimi, per la successione di
si è dimostrato, tu devi, ed è degna di
te solo l'impresa, far sì che i beni tuoi durevoli ed eterni rimangano: ed
ovviare per sempre che ad illimitata autorità
per non sovvertire gli ottimi provvedimenti da te fatti né i buoni poiché
a ben regolata anzi ad ogni modo dannosi. ed ovviar e toglier non possono, che ad essi altri principi non buoni succedano.
Che un libero
che dà la virtù, nessuna potenza, che quella delle sante leggi, più giovino
a far grande, temuta, e rispettata al di fuori, ammirata felice, e invidiata al
di dentro una nazione, credo che a Principe già cittadino parlando, non
abbisognino prove. Né tu, né io, né questi venerabili
abbiamo vera si
non ne rimanga. Di padre in Figlio la dolorosa tradizione delle passate nostre
glorie, giunta colla funesta serie dei recenti nostri timori, pericoli, danni,
e avvilimenti, fanno tra loro troppo visibil contrasto, perché ogni buono spaventato
non sia dai moderni tempi, e ammiratore, e adoratore degli antichi.
E chi più di te, Principe incomparabile? che degli antichi emulator virtuoso,
a maggior gloria, volendola, riserbato sei dalle calamità stesse dei tempi;
gloria maggiore, e d'assai, senza adulare ad alta voce io tel dico; poiché di
gran lunga avanza i difensori della libertà, chi volontariamente restitutore se ne fa,
potendo senza contrasto la
una immensa poi glie ne ridonda dalle tutte
dei secoli, che figlie della restituita libertà, come da vivo, e chiaro fonte,
dalla gloria, e virtù del restitutore si emanano. Ø
per quanto il debol mio ingegno il può, le obbiezioni, e difficoltà tutte, che a sì
straordinaria rivoluzione
azione condurre a fine si debba da te, ed il modo con cui condurla, ed i
divini effetti, che ne sarebbero per nascere.
disfar la Tirannide disfare
indurre ti voglio, o Trajano, non mi pare inopportuno, benché cosa a tutti qui
nota, di ritoccar brevemente le ragioni per cui parte dal loro mal animo, parte dalla
necessità, e corruzione dei tempi, furono i primi fondatori della Tirannide nostra,
a distruggere la republica indotti; e in ciò tanto più crudeli, che quasi a scherno
dei poveri cittadini lasciando le apparenze, ed i nomi libera republica
l'afflissero poi di tutti gli orribili flagelli, che ai più vili, e servi uomini toccato
sia di sopportare di
delle nostre crescenti virtù, e grandezza, furono poi, oltre la mole tropppa della
partenza nostra la ragion principale della rovina. Mario, e Silla, funesti nomi
alla Romana grandezza, e felicità, furono quelli, che dalle forze Romane, già
terrore degli inimici di Roma, si valsero a spaventare, stravolgere, insanguinare,
e distruggere Roma stessa. Cagione glien diedero i nostri vizi, ed i loro:
pretesto le inimicizie nostre, e fazioni; mezzo i numerosi eserciti, che a così
sterminato imperio difendere, eran necessari divenuti purtroppo. Ma questi eserciti
eran pur altre volte di cittadini Romani composti; e tali furono finché scelerati
disegni nell'animo dei loro capitani non entrando, li vollero soltanto a Roma
fedeli, ed ai nemici terribili. Ma la spirante Republica, un bello, e magnanimo
esempio di Romana grandezza vide ancora, ed ammirò in quel Silla stesso, che
l'avea di sangue, e lutto, e tremore ripiena. La dittatura rinunziata, e la cittadinanza,
benché superbamente, ripresa, collocarono, e lasciano, Silla primo fra i
Tiranni tutti. Un legittimo imperio,
una Republica tornata a vita, a costumi, a splendere, a virtù, a libertà, collocheranno
il ristaurator d'essa, e il distruttore della propria Tirannide, primo non che fra
i principi, ma fra gli uomini tutti i più liberi, i più virtuosi, i più magnanimi.
Di Cesare non parlo; maturo era il servir nostro, e dovendo pur
Roma
degno di difenderla, se in dubbio, per lui niente onorevole, non avesse lasciato sempre
Principi tali, che i non furibondi, buoni chiamaronsi, andò ad un tempo struggendo
il libero, e maschio pensare, le virtuose azioni, la memoria perfin d'esse, ma consumò
ad un tempo se non tutti, di quegli umori perversi, che alla
rovina della libertà contribuito avevano. In quelle guerre civili estinte più che
a mezzo le legioni antiche use a donare, e toglier l'impero, pur
interne agguerriti gli eserciti nostri tanto più che Romani a Romani combattere
maggior virtù richiedeasi, facilmente poi nei brevi respiri dalle dissensioni
domestiche, passarono a respingere i nemici, ad assicurare, ad estendere i confini
del Romano impero: i cittadini finalmente atterriti, ed attoniti dai mali in cui i loro
vizi immersi gli aveano, e purgata la città per la tirannide di que' mostri, dai più
ricchi, potenti, e soverchiatori cittadini, questo gran corpo, debole sì, attenuato, ed infermo
ma non estinto rimase. I pochi anni dell'impero di Nerva, e del tuo insegnarono
a noi stessi, che tacendo il timore potea riparlar la virtù. Rinsaviti dai passati mali
ed il vizio perdendo gl'infami suoi premj, s'andò per se stesso consumando nella dovuta
sua oscurità, e bassezza, ovvero se l'audace fronte osò pure di tempo in tempo inalzare
la meritata pena lo avvertì che il Principato pendeva in Republica. Oggi dunque
mentre io parlo, o Trajano, Roma, dagli esempj tuoi generosa invitata al ben fare,
ha i rei in assai minor numero dentro di se, ed i buoni, ora, che senza pericolo
tali mostrare si possono, molti più, che da credere non sarebbe dopo si lunga tempesta,
o si manifestano, o rinascono, o anche dalla necessità traviati finora, al sentier di
virtù, benedicendo te come loro infallibile, e magnanima scorta, pieni di nobile invidia
ritornano; tanto più caldi proseguitori di essa, quanto la macchia della loro passati
falli
Se dunque dimostrato ti ho, che la Tirannide quì sorse, perché tutto era preparato
per riceverla, e meritarla, ancorchè
qui tutto è preparato per ricevere,
alla scarsità delle prove mie, e alla mancanza di virtù nei Cittadini nostri: che
troppo ben sai, che di restituita libertà, suole, e dev'essere la publica virtù più
Figlia, che Madre
è degna di te. Al Principe nessun'altra cosa da acquistarvi rimane, che chiara fama. Tutto
il rimanente in copia possiede, e forse gli soverchia, ed è quella stessa abbondanza fastidio,
e cagione per lo più, che nel seno di torpid'ozio immemorre di se stesso, ei perde ogni
amore di gloria, o dalla sazietà stimolato, d'acquistarla cerca per vie fallaci, non ragionevoli,
ed al pubblico dannose, non meno che a lui. A te,Trajano, una comune gloria bastare
non puote, ed ogni gloria è comune ai Principi, fuorchè quella inaudita, d'essere i
a Roma dell'antica sua militar disciplina; per le
di chiaro capitano ne aspetti, non ne avrai però tanta giammai, che a Cesare,
non che superarlo, t'agguagli. Se dal comporre in un sopore di pace la città
e facendovi ad un tempo l'arti, le lettere, e il servaggio fiorire, gli animi dei
cittadini dalla turbolenza distorre, ove tal funesta politica abbi fra gli uomini già
liberi partorir fama potesse, certo in tal arte, ch'esser la tua mai non potrebbe,
di gran lunga soverchiato
molle benignità, che molto pur si valuta nel Principe, allorchè taccion le leggi, ed ei
solo le interpreta, strugge, muta, e sovverte, Tito te ne ha preoccupandola, intercetta la
via. Degli altri Romani Principi non ardirò pure il nome pronunziartene; troppo certo,
che Trajano all'imperio assunto, altro più caldo desiderio in petto, e in mente non
accolse, che di farne per sempre obbliar la memoria. E migliore, e più certo, e
più efficace mezzo ad ottener tal intento, mai scegliere mai non potresti, che
di tua autorità giusta benché illimitata servendoti, purché
libertà, che per se stessa poscia, e i Neroni, e i Tiberi, e i lor simili non che
ammettere all'imperio degli uomini, non soffre, direi che Natura tai mostri genera,
o nati appena nel suo seno li estingue. Ed in fatti, osservo, ottimo Principe, come
a poco a poco la scellerata baldanza, e l'inu
regnatori; come il valore di Cesare appianasse alla pusillanimità d'Augusto la strada,
come la lenta, e coperta Tirannide d'Augusto, generasse poi l'astuta, e crudele di
Tiberio, e da questa finalmente prorompesse senza limiti conoscer più la furibonda
di Caligola, di Nerone, di Domiziano; a cui quel breve intervallo di Vespasiano, e di
Tito, non bastò pure a togliere i mezzi, o a menomarli, di riassumere un'intera,
inaudita, e sfrenata tirannide. Tristo, orribile, e recentissimo esempio, che t'avverte,
o Trajano, che alla tua bontà, umanità, giustizia, e moderazione può tra pochi anni sottentrare
con intera nostra rovina, un mostro non inferiore ai sopra nomati. E di
quello le crudeltà, le violenze, le rapine, l'onte, le stragi, tutto, purtroppo, non meno
che a lui autore di esse, a te ne verrà imputata la colpa; alla fama tua ne
verrà grandissimo minoramento, al tuo stesso nome, e memoria grand'odio; poiché
potendo per l'autorità degli dei, e dal rinascente Genio della Romana Republica
a te affidata, restituir libertà, e toglier per sempre con efficaci leggi, e sagaci mezzi,
i Tiranni, eseguito non l'hai. Ed a Tito chi perdonare può mai l'aversi lasciato
succedere Domiziano? Gli era Fratello; ma Roma gli era, o doveagli esser più
che Figlia. Nol potè, nol volle forse egli spegnere. Fraterna pietà fu l'eccidio ultimo,
e quasi intero di Roma. Felice te, Trajano, che congiunti non hai, che
Figli, parenti, ogni più cara cosa nella sola Republica conti. Nessuna ingiustizia,
nessuna crudeltà t'è mestieri per isgombrare questo soglio! Ciò che dal divino Nerva
non come parente, non come amico suo, ma come ottimo fra i buoni per suo
avvedutissimo discernimento ottenesti, tu rendere il puoi a chi spetta; tu col
cessare di comandare ad uomini nati tuoi pari, cominciar veramente a farti
per sempre maggior di loro, in virtù
di non avere assai accresciuto il tuo lustro, e migliorato il tuo essere, poichè
libero cittadino facendoti, tanto più in pregio, e la tua, e la nostra libertà ti dev'
essere, quanto ne sei tu stesso, tu solo, tu primo il creatore; e se in Roma non
è spenta del tutto la memoria di Roma, ognuno di noi sa, che libero, cittadino,
e Romano, tre nomi sono a cui nulla s'agguaglia, nulla si aggiunge; e a cui
l'odioso nome, o possanza di Re, infamia bensì, e vergogna, e pericoli, ma non mai
gloria, nè splendore può procacciare. Quanto più a grado la venerazion nostra,
l'obbedienza, l'amore, la gratitudine ti sarebbe, se da quel funesto pensiero disgombrar
tu potessi la mente tua: che finché tieni l'impero, sempre, e giustamente
dubitare ti lascia, se a te, o alla possanza tua ossequio tanto tributasi. Ad alta
prova, ma sicura, tu metti, e Roma, e te stesso; né io per consigliarti tal magnanima
azione particolar gloria a me stesso procaccio, né
Il pensier mio, è quel di tutti, e l'ardirtelo esporre, non del coraggio mio, ma
della tua virtù più altamente grida gli encomj; che Principe a cui si propone di
distruggere il Principato, deve pure assai apertamente, e generosamente essersi già
manifestato aver egli di vero cittadino, e non di principe l'animo. Tale tu sei, e egregio
Trajano; tal ti mostrassi, ed a Roma,
in privato. Tuo primo, e solo, a più intenso desiderio si è il far felice, grande,
tranquilla Roma, e sicura; ciò chiaramente vuol dire il farla libera. Interprete
io a te stesso de' tuoi stessi pensieri, non ti richieggo già di compiacere a noi, ma
di soddisfare a te stesso. Cagione dunque primiera di far tal azione, parmi averti dimostrato
chiaramente essere la vera grandezza, anco possanza, e gloria tua. E non perché
io creda che tu anteponghi alla Republica tu stesso, ti ho io voluto assegnare per prima
cagione l'utile tuo, ma per dimostrarti alla faccia di Roma, che tale, e tanto è
l'affetto che da essa acquistata nel tuo governo ti sei, che era nessuna felicità
sua in conto terrebbe, se a te prima che a lei grandezza, vantaggio, ed eterna
memoria ridondare non ne dovesse.
così lieve; ma pure prima, e potentissima sia, e da bastar quasi sola; il desiderarla
ardentemente noi tutti; e gran titolo a meritarla questo parer ti deve. E non credere già,
che io nel dir libertà altro intenda, che d'obbedir sempre a Trajano; cioè alle leggi, di
cui egli è difensore; ma, che, cessando egli, possono nella persona d'altro potente al
par di lui, un sovvertitore trovare. Gli animi nostri dunque prontissimi a rivederla son
ed ottenuta a difenderla; di ciò ti facciano piena fede le tante, e si spesse congiure
contro i passati principi, le tante volontarie morti di chiari, e potenti cittadini, non per
altra ragione di vita sfuggiti, che per involarsi a Tirannia; l'odio del nome di
Re,
illimitata, ed ingiusta, ch'anche sott'altro nome si esercita. Grande tu sei troppo,
ed io libero troppo mostrar mi ti debbo a non parer indegno della causa ch'io
tratto, perché io ti taccia, che il nome d'Imperatore, poiché tutti i mali di quel
di Re, in se stesso
di Re. Tacer non ti posso, che in te si ama, si adora le doti, l'animo, la virtù
di Trajano; ma si abborrisce, e si trema della dignità, possanza, e nome d'imperator
Re. Ad animo generoso quale il tuo, ardisco io esporre fra il primo de'
meriti nostri, ciò che ad altro volgare Principe, ogni maligno, e vil delatore esporrebbe
come il primo dei tradimenti.
dalle orribili passate Tirannidi, ed in ultimo più efficacemente ancora dai pochi
felici anni del tuo impero, rientrati in se stessi, e ritornati Romani, odiano ogni
freno, che può impedirli d'essere, e di mostrarsi tali: l'odiano, e per bocca
mia a te il dicono, e se tanta elevazion
potesse a chi ne diede gli esempi, ed i mezzi, te stesso incolpano, o Trajano,
che lasciando respirar la città, hai fatto
memoria dei loro sacri prischi diritti, e della passata loro libertà e grandezza.
A voler essere imperatore tu,
tremore, e alla oppressa virtù imporre eterno silenzio così almeno l'odio meritando
e gl'iniqui frutti cogliendone; o
non assicurarne in eterno la base, col togliere affatto la Tirannide? A mezzo beneficar
non si può un popolo; sollevarlo dall'oppressione perché poi altri di nuovo
lo possa più crudeltà, che vera pietade sarebbe. Ma tu pietoso, umano, giusto, e sagace,
tai mezzi forse hai in vista
mite, giusto,
saravvi, che o per adozione di Principe, o per eredità, o per elezione di soldati,
ed anche, se vuoi, per elezione del Popolo tutto, salità in dignità primaria, perpetua,
non frenata, non impedita, e avvalorata anzi da molti eserciti? Costui sarà, né altrimenti,
nomar lo possiamo: un Tiranno. Forse mite, forse giusto, forse buono, fors'anche
ottimo, ma odiosissimo sempre a liberi cittadini, e ferocissimo mostro riputato,
perché starà in lui, ed in lui solamente, di non essere nè mite, nè giusto, nè buono.
Un popolo che in tal guisa pensando, non ha ancora del tutto sovvertite le idee del giusto,
e legittima autorità reputa quella soltanto, che data,può
un tal popolo, parmi, merita ancor libertà; e tale, o Trajano, è questo Popolo, che
tu colle leggi governi, ed a cui provveder devi, se ti cale la sua gloria, e salvezza,
ch'altro mai chi le sacre leggi dovernare d'ora innanzi nol possa. Dall'odio
dell'autorità tua, e dall'amore immenso di te che moderatamente l'eserciti,
puoi dunque viepiù imparare a conoscere, ed apprezzare il popolo, e te stesso.
A Principe maggior del suo impero, non altrimenti da libero cittadino si parla.
M'è noto, e non nego, che sì nella Plebe>, che fra i Patrizj molti ve n'ha, che
dai passati governi nei vizi, e nelle brutture travolti, d'essere Romani non sanno:
e tal numero forse, se non sovvertire, agguaglia almeno quello di chi caldamente
il rimembra; ma che perciò? lascierà l'ottimo Principe, il padre di tutti, di
giovare a tutti, perché gran parte nol merta? L'esempio, la virtù in pregio,
la sicurezza, la ben'
leggi in pochi anni possono i guasti a mezzo soltanto, far rivivere, e rinsavire,
ed i putridi corrotti membri della Republica estirpare. Anche al cacciar che
Roma fece dei Tarquinj, molti partigiani della Tirannide, molti, rei, molti
vili, molti traditori entro il suo seno serbava: ma che? lo splendido esempio
d'un Bruto ne' figli, le tante, e tante virtù a gara della stessa necessità
procreate, tutto in breve contribuì a far nascer quella Roma libera, alla
cui gloria, e possanza fu poscia angusto termine il mondo. I cittadini dunque
in due parti dividendo, dico che ai buoni dei restituir libertà, perché ne son
degni, ai cattivi perché per mezzo d'esserlo ;e
son del timore, della licenza, dell'ingiustizia, della dispotica autorità insomma figli
della libertà essere necessari, ed illustri figli, il valore, la giustizia, la fede,
i costumi, e tutto insomma ciò che mai può agli uomini assicurare potenza,
gloria,
Dei mezzi di eseguire così magnanima impresa, ora che per quanto io seppi, dimostrato
ti ho, che per te la dei fare, e per noi, colla libertà stessa, coll'amor vero della
patria, e di te, e del retto, discorrerò; non per insegnarteli: che più di me li sai;
ma per convincere pubblicamente anche i più tiepidi amatori di libertà, che facili
sono, mentre i più, impossibili li reputano; ma facili sono imperatore Trajano:
ed impossibili purtroppo sotto ogni altro principe stati sono, e se tu non provvedi, per
sempre il saranno.
vicenda, e passeggieramente i Consoli, Tribuni, e Dittatori. Cose note notissime, ma da gran
tempo in questo Senato non più mai, e con sommessa voce fuor di questo consesso tremando
rammemorate. Piacemi qui col rammentarle, col parlarne in non dubbie, nè oscure parole
che testimoniare a Roma, che sotto Trajano non è delitto il ricordarsi di Roma, l'investigarne
la vera grandezza, e libertà, e il desiderarne il rinascimento. Purtroppo è vero che le umane cose
labili tutte,
troppa fortuna, e grandezza, scogli difficili all'umana felicità
e piccolezza, non d'altronde ripeter dobbiamo. Il Console che d'un anno d'impero più che contento
dopo essersi mostrato ai nemici di Roma soldato, fra le sue patrie mura tornava pieno
di vera gloria, e di patria virtù a mostrarsi cittadino, nulla perdeva col perder l'impero; ma
aggiunte alle dolci prerogative del libero cittadino, le dolcissime lusinghe di chiara, e meritata
fama, un più dolce della
sopra chi n'è ammiratore, ed amante. Quindi si componea di consolari uomini quel
venerabil Senato, che tanti anni,
era dei Re
costrinsero poscia Roma a moltiplicare gli eserciti, e i Capitani, e con somma imprudenza
ne lasciò l'impero troppo lungamente a cittadini, che tosto cessarono d'esserlo.
Così i soldati, tratti altre volte dal cuore di Roma, o dall'Italia almeno,
tratti coll'andar del tempo dalle più rimote provincie, barbari quasi di costumi,
e di civiltà; Roma niente, o mal conoscendo; di sangue già ad essa nemico procreati,
di libertà vera ignari, la republica nel lor capitano riponeano, se con illustri, e spesse
vittorie, ad essi, ed a fomentare i loro vizi assicuravano molte, e ricche prede.
CesarePrimo, ebbe la baldanza, la crudeltà e la viltà dirò io di farsi tacitamente
de' suoi soldati Re, per essere poi della sua patria apertamente Tiranno. Il
lungo comando ch'egli ebbe d'un numeroso esercito nella Gallia, comando, che la
debolezza del Senato, la corruzione, e venalità di molti gli dava, e poi confermava
gli diede tempo ad ordire quella fatal congiura contro la Republica, che mai
poscia non rivisse. Ma al corrotto animo di Cesare convien dire, che ben rispondeva
il corrotto de suoi soldati; poiché certo l'amore del capitano per quanto egli fosse,
non li potea mai indurre a
disprezzo della republica non agguagliava, o superava
fatti, a Scipione idolo del suo esercito, non avrebbero certo tenuti dietro i
soldati se egli contro Roma avviato si fosse; erano ancora quei soldati
cittadini; dal cessar essi d'esserlo, al cessar la città non fu, ed essere non potea
lungo intervallo: e d'un nato tosto mutossi in un
militare, e violento. Furono il nostro
popolo i centurioni, i sacri Consoli, l'imperator puoi
tu dello stesso tuo nome ancora appellarti, e così cangiata, così straziata, così vilipesa
tutto soffriva, e tacerti? ma tempo venne, sì tempo, che le tue acerbissime piaghe
ristorate in medica sovrana mano, ti rifarai più bella, e non men grande, e più
saggia: l'imperator unico tuo, Console, e cittadino vero vuol farsi. Gli eserciti
numerosi, e superbi, da cui egli non ricevè l'impero, ma che da lui novella
e veramente
imparato hanno non meno a sconfiggere, a debellare i nemici, che a rispettare,
conoscere, amare, la Republica, gli eserciti insomma che l'aman temendolo, cesseranno
d'essere il flagello, e terrore della città. Niuno imperatore finora potea essere
per esercitarlo, della cui mobilità, e baldanza ad ogni ora, e momento tremava.
Trajano imperator veramente, e non schiavo de' Soldati suoi, dell'autorità sua prevarrassi, per
far ritornare i suoi soldati cittadini; parte distribuendone nelle tante desolate contrade
si d'Italia, che d'altre provincie dell'impero, le quali d'uomini esauste, aspettano novelli
cittadini, che in esse l'arti, la sana agricoltura, il commercio, la felicità ne riportino.
Trajano farà i cittadini già pacifici, avviliti, oziosi ed atterriti dai propri soldati,
diventar soldati essi stessi per la conservazione della republica; e terribili soldati,
e veri, e Romani saranno, quelli, che liberi, e non oppressi al di dentro, contro
i soli, e veri nemici di Roma, sotto consoli, o capitani a tempo combatteranno.
Da questa lodevole, necessaria, e beata antica mescolanza di nomi, per cui indistinto
sia il cittadino, o il Soldato, ogni odiosa sofferenza, ogni soverchiante possa, ogni
insidia alla libertà viene annullata, e distrutta. Cittadino, in libera contrada,
vuol dire libero, e sicuro posseditore dell'aver suo, dell'onor suo, delle mogli, dei Figli,
e di se medesimo; questo ogni uomo tale, è soldato, e terribil soldato per la
difesa di queste veramente sue cose. Non è soldato no per la rea ambizione
del capitano, o per l'ingiusta cupidigia di un non saggio senato. Roma
oramai conquistata ha, se non troppo, abbastanza; spandasi pe' vasti confini
del suo impero la libertà vera, ed il maschio pensare dé maggiori nostri
e Roma è bastantemente difesa. Gli eserciti dunque moltiplicati, immensi,
sfrenati, e cupidi, frutto di corrotta, e troppo grande Republica, ne furono il
sovvertimento, ne sono gli oppressori, e i distruttori ne saran rimanendo.
Ma di ciascun individuo, che un esercito compone, se
e i pensieri, e i desideri spiasse, non in migliaia uno ne troverebbe, nemico
veramente del civile vivere. Uomini sono, per quanto rozzi, e dissoluti, e corrotti,
uomini sono, a cui poca terra, libero, e queto vivere, con moglie, e figli, e indipendenza
basterebbero per render felici: ecco che ciascun d'essi più o men buono,
è però cittadino:
viver civile? Facil è dimostrarlo. Erranti sempre, patria non conoscono; privi
delle dolcezze domestiche non conoscono quegli affetti dolcissimi di padre, e marito,
che tanto rattemprano l'umana ferocia, e sulle
ci fanno:
delle mal acquistate ricchezze; a continua, e dura obbedienza costretti, quella
repressa lor rabbia con inumanità fierissima sfogano poi contro i più deboli
di loro; e di loro armi insomma vivendo, ogni ragione, ogni speranza, ogni
ordine, ogni loro cittadinanza nell'armi ripongono. Tali sono i Soldati purtroppo
non dirò Romani, né di Roma, ma i soldati, che han di
distrutta; e tali devono essere, e saran sempre i soldati, che non son cittadini,
che colla stessa mano la spada, e la marra
essendo, cessano d'esser Figli di vera republica. E tai mostri, la di cui
fatale esistenza nella loro unione sola consiste, divisi, dispersi, umanamente
trattati, uomini ridivengono, e cittadini ad un sol cenno, che Trajano ne
faccia. Sì, ottimo Principe, ad un solo tuo cenno migliaja, e migliaja di cittadini
rinascono, e con doppio guadagno per la republica, migliaja, e migliaja di nemici
di distruttori, di oppressori
9
riserbato a' tuoi tempi. Cessato appena nei veri cittadini il terrore, che a loro giustamente
cagionano questi superbi eserciti, la virtù prima, e principalmente col tuo
e poi per se stessa, e per la creatrice libertà in folla si vedranno rinascere.
Trajano, tu godrai allora di un bene ignoto sempre a chi impera, d'un bene infinito,
sommo, ed inesplicabile, per un core ben fatto, e magnanimo, il trovar emuli nella
virtù.
ne devono a te, ed a noi ridondare, annoverare non deggio mai sempre, e prima
di aver ogni dubbio sulla possibilità di ciò fare dissipato. Che ancora
non pochi vegg'io qui intorno, col loro tacito dubitare inquieti per la sicurezza
dell'impero, distrutti i Soldati; e dalla novità delle cose
sconvolgere a tal mutazione, e dagli ostacoli, che soli vedono, ritrarre infinito timore,
e perplessità. Romani, pensate, e pesate qual fine vi si propone da questi sconvolgimenti,
la libertà: qual fine dall'addormentarsi nel seno di passaggera, e fallace calma,
la total distruzione. E sia vero, che non è, che dispersi appena i Soldati, i tanti
nimici di Roma invadano l'impero, e poniamo pur anche, che senza difesa trovandolo,
fino alle porte di Roma pervengano: vi nuoceranno questi più, o quanto vi
nocquero i feroci vostri eserciti da Cesare, da Ottone, da Vitellio contro di voi
condotti? Dai Galli assediatori del
ma libera rimaneva, e vincitrice non indi a molto tornava. Da questi crudeli
impostori di Romani eserciti, Roma saccheggiata, arsa, profanata, distrutta,
neppure col sangue si riscattava, ed oppressa, e vinta, e doma, e nulla si rimaneva.
Contro ai veri nemici, nella libertà, nella virtù che n'è figlia, nella disperazione
stessa, e necessità, si trovano armi,
prima necessariamente di opprimerci, corrotti, e guasti ci hanno, niente si trova
ad
fine più degno di essa sarebbe? coll'armi in mano, superati ma non vinti,
generosamente i suoi cittadini fra le sue mura in difesa d'esse morendo, ovvero
svenati come pecore
che di tale vista diletto farebbesi? Ma cessi il gran Giove conservatore di essa,
che a nessuna di tai vicende soggiaccia. Soldati ai confini dell'impero diventino,
i cittadini veri liberi, e fatti felici; capitanati sieno a tempo dai Consoli, o dai
proconsoli nostri; si deponga ogni pensiero di ulteriore conquista; si conosca meglio
la vera grandezza di Roma consistere nell'esser libera, e costumata, non nell'
immensità dell'impero; che i vizi allargando, le virtù rinserra, e costringe; si
ripetano insomma in tutto gli antichi principj che potente l'han fatta, e felice,
e quelli con la saggia, e lieve mutazione che i tempi
felice, e potente. Ed in ciò fare le vaglia l'autorità di Trajano; felice Roma
che in lui Censore, riordinatore, e custode ritrova; Felice Trajano che tanta
autorità ritrovandosi in mano, sì nobile, umano, e generoso, e memorabile uso
può farne. Riordinare i comizi, estirpare la venalità, dalla confusione in cui giacciono
rimettere in chiaro le prerogative, e i doveri di ciascuna dignità; sui nomi insomma
come ignude ossa dell'estinta republica, rimasi rannestarne una nuova, ma simile per
quanto si può all'antica; raffrenare il lusso sterminato, rimettere in pieno vigore le
leggi, e per magnanimo esempio sottoporvisi primo egli stesso, son questi i divini uffici,
a cui è riserbata l'altezza dell'animo di Trajano; son questi gli obblighi immensi, che a tanto
Principe avrà Roma; è questa la via, per cui gli onori della divinità, se per l'abuso di
cui indegnamente profanati finor non si fossero, meritamente poi dai Romani sarebbero
a Trajano accordati. Ma se laida adulazione, ed incredibil viltà, ed obblio totale di
lor decoro, e di se stessi, fè dai nostri maggiori venerare, e nomar Dei Cesare,
Augusto, ed altri peggiori, Dopo una lunga vita, che i veri Dei non negheranno a
Trajano, poiché a restituire Roma lo a a a
e memoranda o
ad uomini oppressi, e non liberi, restituiva più preziosa assai che la vita, la libertà.
Gli ostacoli che alla magnanima impresa ritrovare si potesse, di cui superato il
primo della milizia, tutti gli altri per se si appianano, se ad essere superati esigeranno
violenza, Roma rientrata ne' suoi diritti userà contro quei perversi cittadini che
tali non sono, la forza; se abbisognerà dopo il
previdenza, e più d'ogni cosa il sublime esempio della virtù, Roma con occhi pietosi
rivolgerassi, a Trajano; qual sia la dignità ch'egli a se medesimo riserbi, in quella
tutte l'altre staranno; e s'anco niuna quel generoso animo non ne volesse, Trajano
privato cittadino, sarebbe pur sempre Trajano Console, dittatore, e se più v'ha - tanto
più bello, e lïeto, e puro allora l'impero suo, che tutto alla virtù propria, e all'
amore dei suoi cittadini il dovrebbe, non all'altezza del grado, e molto meno al
terror degli eserciti.
più dolce termine della tua gloria, avverrà fors'anco, che l'invidia peste
non estirpabile fra gli uomini cercherà di lacerarti, di nuocerti;
privato dire con irriverenza, e licenziosamente biasimare; e all'ombra delle leggi
per te in osservanza tornate, godrai dell'inesplicabile gioja di esser uomo fra
gli uomini, e dai pochi,
che i molti ammiratori, veneratori, ed amici tuoi mentiti non sono. Tutte insomma
ed in te, e per sempre in tutti annullando le funeste prerogative dell'assoluto
potere, che dà la forza, tutte, ed in infinito numero verrai a riacquistare quelle
tante, e sì dolci, e sì grandi dell'uguaglianza. Privato nascesti; ma in disastrosi
tempi, e non liberi; d'uomo nel suo intero esercitarne l'ufficio non ti fu dato
finora; non quand'eri privato, che cittadino mostrarsi allora non potevi;
eri
e stati, e futuri diventi, dal giorno che dall'impero a vera cittadinanza ascendendo,
teco i concittadini tuoi da reo,
ed innalzi.
tragge, mentre io i mezzi di annullar la Tirannide espongo disegno, a descriver
i divini effetti, che dalla estirpazione di tal
mene quasi trascorro. Cedasi dunque al divino genio della libertà, ch'egli è certamente
quello, che tai detti m'inspira, e col ragionar degli effetti, in tal maniera
l'animo di Trajano si accenda ad accordar libertà, e quello dei Romani a desiandola
meritarla, che dalla perfetta, concorde, ed intera volontà di chi la brama
e di chi la la accordarla s'appresta,
ch'io ripieno il core di una dolce emozione, turbato la mented ed accesa la fantasia, e
trasportata da sì diversi, e tutti pur lieti, tutti
qual debba accennare, su quale estendermi, quale tacere; onde per la soverchia voglia di
esprimere non con studiosa eloquenza, che si alto soggetto la sdegna, ma con semplicità,
affetto, e calore ciò che l'animo tutto mi accende, invade, e consuma, tanto meno temo
io di poter dire, quanto più sento che termine al dire mai non porrei. Diso
Disordinati accenti come il core,
gioja, saran gli encomj che da me s'udranno della libertà, e de' suoi dolcissimi frutti.
Già già mi si squarcia i
il pensier nostro nell'angusto termine de' presenti tempi confina; Veggo, sì veggo, e d'un'istesso,
e rapido sguardo la nostra Roma qual S'era a suoi felicissimi tempi, qual è nei nostri,
quale con novella prosperità, a grandezza sarà nell'avvenire. L'ombra dei Catoni, degli Emili,
dei Bruti, dei Regoli, e di tanti altri illustri Romani mi si appresentano in lieto aspetto,
e magnanima scorta mi si offrono a farmi conoscere qual fosse quella Roma, ch'essi
abitavano, quali le virtù, qual la forza.
ed osservanza delle leggi, qual popolo, qual Senato, quali eserciti, qual costanza nell'avversa,
qual modestia nella prospera sorte, qual religione e culto degli Dei, quanto insomma
di bene una Republica ben'ordinata avesse per la felicità dei cittadini suoi adunato.
E tutto, quanto quei generosi con tanto piacere mi svelano agli occhi, tutto diverso,
e per l'appunto contrario io veggo essere a ciò che la presente Roma rinserra.
Prima virtù di quegli ottimi conosco essere stata il sapere, ed osservare le leggi, nostra purtroppo
da gran tempo s'è fatta, il sovverterle, trasgredirle, ed eluderle; e quello più grande fra
noi fu stimato, con incredibil cecità di giudizio, che con più rovina nostra, e disdoro,
più seppe innalzarsi sopra le leggi. La Forza de' Romani animi con inauditi esempli
mostravasi, nel tollerar le militari fatiche, nell'affrontar pericoli per la republica,
nel correre lieti, e volontari alla morte, dove dal cessare dei loro individui, ne
potesse venire al publico, gloria, o vantaggio; la forza dei moderni animi, con
eterno vitupero nostro da gran tempo manifestasi, in sopportare tremando, e tacendo
ogni ingiustizia, ogni rapina, ogni oltraggio; o se qualche scintilla di Romana fortezza
in alcuno pure rimaneva, ad uscir volontariamente di vita, per isfuggir la
Tirannide gli valse: e dove l'immolarsi i Deci, e tanti altri in pubblico onore, ed
util tornava, l'uccidersi fra noi quei pochi, che morte a servitù anteponevano,
in publico danno, poichè un buon cittadino meno, dove pochi ne sono, è irreparabil
perdita, ed in publica vergogna, ed infamia tornava, poichè purtroppo era dimostrazion
viva della viltà di quegli altri tutti, che quella non vendicavano, o non
imitavano.
i costumi, le domestiche virtù, la vera amicizia, la fede, la parsimonia nasceano; Felicità
era il vedere felici gli altri, e niuno dalla rovina del congiunto, dell'emulo, dell'
amico, o del nemico, traea la propria grandezza. Oimé qual pianto mi accora, se
narrare m'è forza qual sia stata finora la felicità de' tempi nostri! Publica non
ve n'è stata mai altra, che quei brevissimi intervalli, o momenti, in cui si vide
dall'usurpato soglio precipitar quei mostri, che fatto avean fede essere in noi
maggior la viltà, e la sofferenza indegna, che in essi la massima
Nerone, Gaio, Domiziano, Ottone, Vitellio nel proprio sangue immersi vittime dei
loro delitti, e del tardo furore di pochi, facevano un'ombra di passeggera felicità
conoscere, e gustare dai presenti Romani. Ma tutti in lagrime di sangue dal
barbaro successore scontar le si fea. Privata felicità in questi orribili tempi
è stata di quei pochi infami, che delle libidini, dell'estorsioni, degli uccisioni dei
principi, fattisi esecutori,
pascendosi, sulle rovine pubbliche con baldanzosa insoffribile inumanità,
d'ogni vizio satolli, sicuri fra le universali
quelle leggi a cui Roma
ell'erano perchè ciascun cittadino in essa rispettava i concittadini suoi, e se stesso.
Inique, vilipese e gravose, e trasgradite le nostre, perchè da uno eran
non che non migliore, ma di gran lunga d'ogni pessimo peggiore. E dall'uno create,
dall'altro distrutte, dal terzo rimesse, dal quarto di bel nuovo annullate, quelle loro
rapide, e ridicole vicende, ben larga prova ne sono, che non dal ben publico, dettate,
ma dal capriccio, dal proprio interessa, dalla stolidità, dall'insania perfino elle sono.
Era il Romano Popolo allora sagace conoscitore de' suoi diritti; acerrimo difensore
di essi, generoso emulatore delle patrizie virtù, ferocissimo in guerra, in pace mitissimo;
religioso osservator degli Dei, sobrio attivo, amator della gloria, e con avvenuto discernimento
sapea non altra ve n'essere per una nazione, che l'essere al di dentro libera, al di
fuori ammirata, e temuta. Il popolo che ora di Romano si gode non meritandolo, il
solo nome, in ogni crapola, vizi, ed eccessi ingolfato, novelli diritti creati si ha, immemore
in tutto degli antichi, non libero, divertito vuol'essere; la ricchezza dai Tiranni
rapita ai timidi cittadini, vuole che ad esso con prodiga mano ritornino in giuochi,
in bagordi, in conviti. Soldato più non è; dei propri Soldati trema; i nimici dell'
impero più non conosce; dei patrizi nemico, e non emulo; sagrilego disprezzator
degli Dei, e ad un tempo di timide, e vili siperstizioni ripieno; tale, tale è
purtroppo il popolo che già di Marte degnamente figlio nomavasi.
Tralascierò di dire qual fosse il Senato; non già che non vil timore perchè io nel moderno
Senato favello mi allacci la lingua; ma so, che non è fra voi o Padri coscritti
spenta la memoria chiara dei grandi avi vostri, che non ne sono le divine scintille
di loro virtù estirpate dai vostri cuori, che fino ad ora campo, e libertà, non
desiderio, e possibilità d'esercitarle mancovvi, so che
troppo è grande il gastigo la coscienza dei
onta della vergogna
io in Senato de' suoi infami vizi la plebe, e la più vil feccia di Roma, sarei
senza volerlo venuto a rimordere i primi dei Senatori. Cancellati sono dai
fasti nostri, e dalla memoria nostra perfino quegli infami, che con empie
adulazioni, con sanguinose delazioni, con tradimenti, veleni, concussioni, e delitti
insomma orribili, d'ogni genere, ed infiniti, aveano della Patrizia classe contaminata
a segno la fama, e maestà, che la più vile, e rea, e disprezzabile, ed
odiosa in Roma non v'era. Erano quelli; ed esser tali doveano, i Senatori che
ai Neroni, e Domiziani toccavano; come voi sete meritamente il Senato, che
di Trajano si fregia.
nostri tempi, non i miseri cittadini incolpare pretesi; nè, conseguenza necessaria
e funesta eran quelle delle infami sceletare Signorie: come necessaria, e fausta
conseguenza erano le sopra accennate virtù, e beni, della divina libertà.
E già io di baldanzosa speme, e di profetico spirito ripieno antiveggo qual debba
fra non molti anni per la restituita libertà tornar Roma, e per infiniti secoli
terrore, e ammirazione alle genti poi crescere, e mantenersi. Più che convinto è
Trajano, che a voler sotto il dominio d'un solo mantener Roma, egli è un
volerla interamente distruggere. Non s'egli eterno vivesse, non s'egli un'altro
Trajano, e successivamente, e sempre altri Trajani assumer
allora, s'udrebbe ridomandar libertà; poichè piena si avrebbe; ma l'impossibilità di tal
cosa, il pericolo estremo, che anche l'ottimo principe possa con se sempre di essere questo
dalla illimitata potenza, la
ha più frequente, tutto addita a Trajano, che la gloria, sicurezza, e vita di Roma, non
non si dee, né affidare, né riporre in un solo. Trajano sa, e vede, che uno poter più di tutti,
senza che tutti ov'egli ingiustamente voglia, contro quell'uno possano, ella è cosa contraria
al retto, alla natura, al buon'ordine, alla felicità; né mai vien creato quest'uno
che o dal delirio di tutti, e dal guasto loro animo, o dall'arte di esso; né mai
vien mantenendo, che dal timore degli altri, e dalla forza di lui. I consoli principi
eletti, ed a tempo di dodici littori più a pompa che ad altro munivano la lor persona,
e dignità. Gl'imperatori soli, e perpetui, creati non mai dal volere di tutti, figli
delle leggi no, ma delle rotte leggi, d'eserciti interi muniscono la non legittima
loro autorità, e dietro essi difendono la tremante persona:
stimati se il meritavano, temuti non più delle leggi, non si udì mai che uccisi
altro che in battaglia dai nemici cadessero; gl'imperatori, o dagli stessi loro
eserciti barbaramente trucidati,
che il poter d'un solo legittimo non è poichè la forza sola il mantiene; ch'egli
gradito, non è poichè malgrado la forza contro il furore che negli animi
preservar non il può.
Ecco disperdersi quelle folte nubi d'armati che ingombrano Roma,
nol voglia, incutono
Ecco Trajano d'imperatore cittadin divenuto le pretoriane coorti in più gradito, e nobile,
e dignitoso corteggio, e custodia ha cangiate. I cittadini in folla l'accerchiano, beato
si reputa chi più d'appresso l'ha visto; lui benedicono, lui vero padre con voci di
giubilo gridano; ritorna a poco a poco negli animi lungamente avviliti, ed oppressi
l'ardire, l'amor della patria, or che patria può dirsi, l'emulazione al ben fare,
l'ardente divina brama di acquistarsi con chiare opere eterna fama.
Spianate veggo, arse, e distrutte le insultanti moli che sul palatino torreggiano, destinate
ad albergo d'assoluto Signore, Trajano è primo ad abbassarle, ed in privata magion poi ricovrandosi di ben'altra grandezza fa nostra, che
nel fare di quegli immensi edificj velo orgoglioso alla lor nullità. quell'alto
seggio da cui nel Senato ei m'ascolta, ei primo ordina che si tolga, ben certo
che fra gli altri sedendo
tosto la rapida fama di sì maraviglioso cangiamento fino all'estremità dell'
ne porta; vengono in folla d'ogni parte, d'ogni grado a veder cogl
un'uom si divino: una così incredibile, ed inaudita virtù; e testimoni poi ne
riportano alle loro genti l'ammirazione, l'amor della vera virtù, della patria,
della restituita libertà. Ogni Padre baciando, ed abbracciando suoi figli, d'allegrezza
piangendo esclama: Figli miei, che tali sol da oggi incomicio a reputarvi, e
nomarvi, Figli miei cari assicurati mi sete da oggi, e non pria. Osservando io
le sacre leggi, non tremo che la violenza, e crudeltà vi rapisca dai miei lari:
da voi in tutta pace, e sicurezza gli antichi occhi chiusi mi fieno; voi legittimi
eredi della sostanza mia non tremo che spogliati ne siate; non l'ossa mie perturbate,
e disperse; non la fama mia, che assai peggio ;
e tutti i pericoli. e tutti gli oltraggi a cui la beltà
può esporre nei tempi di
o con tenersi nascoste a gran pena sottratte sen sono, alle lor tenere Figlie, lor dure
passate vicende narrando, di vero materno pianto lor bagnano il seno; e d'allegrezza, d'esultanza
ripiene poi gridano. Felici voi donzellette, che ai tempi di Trajano nasceste, voi
che della restituita libertade in pace godrete; che dal fianco dei dolci, ed amati mariti
null'altro che morte a disvellervi basterà; voi che senza tremare modesta pompa di
bellezza, ad un
a noi amaramente dolea finora, il
virtuosi, di forti il sarete. Là veggo il ricco non più tremate, non più sollecito
a nascondere, a custodire i sepolti tesori; che se mal acquistati non sono, le leggi
glie li serberanno intatti, in vece che i li
anco, e la fama sotto il velo di apposti delitti toglieangli. quì il povero con innalzata
fronte rimiro pel foro passeggiarsen sicuro, dalle oppression dei potenti; e dal
passato avvilimento, e timore nobile sprone all'acerbato
colla virtù chiaro, e in cittadinanza superare chi di ricchezza l'avanza.
Le tremule voci ascolto dei vecchi, a cui finora la male spesa, vita, e con fatica
serbata vita increscea, felicitar se stessi d'averla pur fin qui strascinata, poichè
a sì lieto giorno di veder rinascere Republica conservata pur l'hanno. Contenti
muojono, han visto Trajano. La gioventù baldanzosa, dove per l'addietro ne' Teatri
ne' circhi, negli osceni conviti,
dimando la possa, qui con generosa lotta addestrando a militar fatica
la volontà, libera, e non più contaminate
armi cosparsa nell' fon acqua lanciandosi con forte nuoto soverchiata del Tevere
crescente speme alla Republica, dolce, e verace sollievo a' suoi Genitori, ammirazione, e
terrore ai nemici.
di tal ordine, contendere i giorni interi per decretare mentiti. ed infami onori al
vizio imperante; non più conoscere dalle concussioni dei Proconsoli, e questori nelle
desolate provincie, non più le reciproche accuse di lesa maestà, non più d'esigli, di
confische, di morti, di proscrizioni; il Senato di Roma al suo prisco sacro
uffizio riassunto alla sicurezza dei cittadini veglia, e provvede, non alla la pace
mantiene ove con decoro del Romano popolo mantenersi ella possa; la guerra
ordina, e per mezzo di cittadini Soldati, e di capitani cittadini coll'antica
felicità, e virtù ogni guerra più disastrosa, e terribile vince. La sacra via, che
al
non sovra eccelso carro un'imperatore coi nemici che visti non ha, molle,
ed effeminato, coi propri soldati timido capitano, coi cittadini suoi crudele, assoluto,
e feroce, ma un imperator soldato, un'imperator cittadino, un'imperatore sottoposto
alle leggi veggo tra i veri applausi di libera gioja modestamente attendere al
Campidoglio, e del proprio valore, e di qual de' soldati ascrivere piamente al
soltanto la cagione, ed i frutti. Delle superbe statue, e marmoree imagini,
che il maggior foro, ed i pubblici edific
gran parte abbattute ne veggo,
alla insultata plebe. Le poche erette alla vera virtù, che in liberi cittadini
con utile vero sulla republica mostrata si sia, rimangono; ovvero se esse dallo
sfacciato vizio tolte, vilipese giacevano, or che a vicenda la virtù ripreso ha
l'impero, rialzare, rifare, riadorare si veggono. e fra questo, sola di chi tenne
l'impero, per tutto coronata di fiori, accerchiata di prosternati cittadini, torreggia
l'imagine di Trajano. Ritornato in onore, per la rarità, e la scelta, ciò che per
la sterminata
a virtù i cuori dei cittadini; ritorneranno que' generosi, magnanimi, inauditi sforzi
che per la Patria visti sì sono si diversi, e sì spessi in Roma già libera, e ad
ottenere publiche statue a mille mille gareggieranno i cittadini in virtù, quando fia
ben dimostro, che non più ottenute mai, senza esser più che meritate, non vengo
Le ultime provincie dell'impero, se acquistate sovra liberi popoli elle sono, in libertà, ma
Romana, tornate, memori della loro antica, null'altro avvedendosi d'aver perduto. nell'
esser vinte da Roma. che la loro barbarie, tanto più romane
quanto all'ombra di migliori leggi più sicure, tranquille, libere, e ricche saranno.
A difender se stesse dall'invasion dei nemici, basteranno i suoi
Romana da Roman capitano condotti; ed a non mai ribellarsi da Roma basterà
loro la perpetua certezza di non essere da ribaldi, avari, ed ingiusti, ed assoluti ministri più sconvolte, oppresse, e predate. Se ad assoluto potere di Re, le hanno le romane
armi ritolte, tanto più lieve sarà di serve divenute compagne nell'ordine, nella
fede, nella felicità mantenerle. Nell'Italia intera nè l'ombra pur d'un soldato più
veggo; i cittadini vi moltiplicano in folla, e se Roma ha nemici, son tutti soldati;
Roma seconda,
fama. E di tanta virtù, di felicità tanta, di chiarezza sì gran
sì venerando, e terribile, più che restitutore, il novel creatore è Trajano. Non Romolo
col fondar la città, poichè libera interamente non la lasciava; non Bruto col cacciarne
i Tiranni, poichè egli a se stesso Signoria non toglieva, e
si procacciava,
Roma, poichè ai doveri di cittadino col latte succhiati soddisfaceano, non
agguagliarsi potrà mai a Trajano, che di Signor d'essa, cittadion sen facea; che
di schiava, libera la tornava, che di avvilita, grande; di contaminata, pura, di
viziosa insomma, rea, scellerata, ed infame, giusta, costumata, esempio di viva virtù
la facea. Trajano nato tremante e non libero sotto l'impero di
miracoloso
all'impero finalmente, perch'egli nell'orribile stato di Signoria assoluta, per esperienza
conoscendo ed
serve, che i timori, i rimorsi, e la viltà di chi non assoluto comanda, scegliesse
come più nobile, e più sicura, e sola degna dignità dell'uomo, l'essere cittadino:
e per esserlo egli con sicurtà, e diletto, un tanto bene a tutti gli uomini del
Romano impero viventi, e nei futuri tempi ai più lontani nepoti, sotto
custodia di ben restituite leggi assicurava. A così immensa gloria, un bene
non minor d'essa, un dono prezioso dai celesti Numi accordato soltanto alla
vera virtù, ed ai generosi, e liberi petti, aggiungerai o Trajano. Ripatriata per te in
Roma la finora
ne gusterai la
sì che a Plinio : ma la conclusion fu, che
ma a Trajano rimase l'impero; a Roma, e al Senato la servitù.
Pisa a dì
+ Ma il lusso mortifero fomentatore, e Padre d'ogni vizio, e delitto, non raffrenato da sontuarie leggi
inutili sempre ad estirpare quell'idra, ma dai modesti esempli di Trajano, e dal cangiato pensare
dei cittadini con
Le immense ville, boschi, e giardini che l'Italia tutta occupando d'utili, e robusti abitatori la spogliano,
al pristino aratro restituire fanno lieti le novelle famiglie di liberi agricoltori;
e que' luoghi si lungamente stati ricovero d'ogni mollezza, ed
antiche domestiche virtù, ossequio ai Genitori ne' Figli, amor vero nei Padri, modestia, e fede nelle
mogli, maschia fierezza ne' giovani alla libertà educati, maturo consiglio, avvedimento provvido, e timor
nessuno nei vecchi in libertà vissuti; pace fra i vicini, amorevolezza fra i congiunti, parsimonia,
≠ Già odo
dalla tribuna tuonando là i popolari Tribuni, qui i Consoli, d'importanti leggi, di di
discutono. Orator veri son quelli a cui la sublimità del soggetto, materia al ragionare mancar
mai non lascia: a cui libertà maestra dell'energico parlare primiera, di lodevole ardire, di caldo amor
per la Patria, e di tenace costanza soccorre. Ma dispersi, avviliti, e confusi tacciono quagli altri tanti,
che ai tempi di
non meno, che con sordide adulazioni così divina arte prostituivano. mentre se non libero era
il parlare, liberissimo era pur sempre il tacere
Ø Nè io finora le a te dovute lodi per le passate
lode d'assai, e più degna di te mi pare averti tacitamente data che ti favello, o
nel reputarti capace di questa;
l'altre tutte felicemente a fine condotte.
₳ dolcezza, di manifestare il tuo core, e vedere apertamente l'altrui, di dire il vero
permettez-moi, Monsieur Le Comte, de vous
temoigner tout le plaisir que m'a fait votre
Panegirique de Trajan. Il fait regrettir à tout aussi
de la libertè que le consul Romain qui a fait
son eloge n'ait pas été animé des sentimentes que
vous exprimez avec tout de force. Si l'on
puovoit oublier la date de ces deux panegiriques,
on vous attribueroit celui de Pline, votre
ouvrage servira à prouver que le vrai
philosophe est toujours independant, dans quelque
tems qu'il viva et quelque pays qu'il habite.
Republicain par ma naissoure et par
mes sentiments, j'ai pensè que votre ouvrage
auroit toute l'utilitè dont il est susceptible,
et qu'il sortivoit en quelque sorte de la
clape des productions purement litteraire,
si vous l'aviez dediè au despote subalterne
qui fait le malheur de ma patrie, au
Stadhouder Guillaume. j'ose vous prier
de suivre cette idée en cas que vous
fassiez une nouvelle edition de votre
ouvrage ou qu'on en donne une
traduction. Il me semble qu'une dedicare
au Stadhouder empecheroit de voir
au premier coup d'œil . Les intentions
qui vous ont dicte' votre eloge et
qu'on ne mettrois point d'obstacled a sa
circulation. je suis avec les sentimens
Les plus distingués,
Monsieur Le Comte
votre très humble et très
obeisont serviteur Russel