Transcription Transcription des fichiers de la notice - Firenze, BML, ms. «Alfieri 6» Alfieri, Vittorio 1777 chargé d'édition/chercheur La numérisation de ce manuscrit a été réalisée par la Biblioteca Medicea Laurenziana de Florence dans le cadre des manifestations scientifiques organisées pour le bicentenaire de la mort de l'auteur (2003) Monica Zanardo, Università di Padova / Institut des textes et manuscrits modernes, CNRS-ENS ; projet EMAN (Thalim, CNRS-ENS-Sorbonne nouvelle). PARIS
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Florence, Biblioteca Medicea Laurenziana, ms. «Alfieri 6»
Italien

2 II.

Panegirico di Plinio a<lb break="no"/>

<lb break="no"/>Trajano, nuovamente

<lb break="no"/><lb break="no"/> trovato, e tradotto da V.

Vittorio Alfieri da Asti.

Rara temporum felicitate; ubi sentire quae velis, et quae sentias dicere licet.

Tac.i Taciti Histor.um Historiarum Lib.o. Libro 1.o.

29

Il Traduttore a chi legge.

Questo non è il Panegirico di Plinio a Trajano che va a stampa dietro alle sue epistole; è un'altro cavato da un manoscritto antico nuovamente trovato. Senza entrare in controversia discussione coi letterari per chiarire qual dei due sia il vero, e fosse recitato a Trajano, dirò solamente, che questo, più breve assai, e non minori cose contenendo mi pare che da un'ottimo cittadino potessead un'ottimo principe recitarsi.

Pisa a di 13 marzo. 1785.

Nobile, e generoso incarco da voi Padri Coscritti mi viene in questo giorno affidato, poiché lodi vere ad un'ottimo Principe potrò io dare senza arrossire, ed egli, spero, senza arrossire ascoltarle. E giorno veramente questo d'eterna memoria sarà, mi lusingo, se io di Romano Console la maestà, lungamente per la tristizia de' tempi obliata riassumendo, saprò dalla sublimità del soggetto, e dall'opportunità de' tempi cavar trar cose degne d'essere da voi ascoltate, da me dette, e da te, Trajano, con quella tua finora mostrata benignità, approvate. Alla splendida, difficile, e per l'addietro pericolosa impresa di dire ad un liberamente parlare al principe, il vero, principio più ragionevole, e santo, principio incominciamento dar non posso io dare certamente, che invocando favorevoli i Numi. Tu dunque o massimo Giove, tu, quello che dal Celeste tuo seggio per tanti, e tanti anni degnasti col tuo benigno sguardo proteggere, ed innalzare questa Romana Republica, tu, che in essa tant ae patrie virtù, tanto coraggio, tante sublimi anime quasi raggi o della tua Divinità con piena mano spandesti; tu che poscia de'pe' vizi nostri alle virtù sottentrati, con noi lungamente sdegnato, in preda ci lasciasti meritamente ai Tiberi, ai Domiziani, ai Neroni; e tu insomma, che ora impietosito dai continui, feroci, ed orribili mali nostri, della tua risorta pietà largo regno a dar cominciasti nel concedere Nerva per imperatore al popolo romano, e più largo ancora nell'inspirare a questi l'adozione di Trajano, tu Giove eterno, se gl'incensi, le lagrime, i voti nostri nel Campidoglio a te sacro, ti sono a grado, dopo sì lunga ira, a grado tornati, Inspirami in questo momento sovrumani lumi, e più che mortale eloquenza, onde io quest'ottimo principe opera in tutto tua, ad eseguire tal magnanima impresa risolva, che niuna mai eguale finora non siasi, non che eseguita, neppure pensata; ed a chi verrà dopo maravigliosa ammirazione ne rimanga coll'impossibilità d'imitarla. Io Cittadino Romano, a Principe nato Cittadino parlo; onde se men che liberi, salva però la reciproca convenienza, fossero i detti miei, tu primo, o Trajano, giustamente offeso te ne terresti, quasi io malignamente volessi lasciar far credere, che chi al tuo cospetto parla di giusto Signore, possa giammai temerne l'ingiusto sdegno: avvilirei non poco me stesso mostrandomi col timido, e dubbio favellare più degno di parlare adulare ai passati reissimi Principi, che di parlare in nome del romano senato, a quest'ottimo; e non fedele interprete di Roma, di cui la miglior parte, e la più sana in questo augusto consesso rimiro, farei del Consolato mio, una trista, e lagrimevole epoca alla Republica, se perduta trascorsa una preziosissima occasione di ricuperarle legittima libertà, o ad altri ne cedessi lo splendido assunto, o coll'averla io negletta, per infingardaggine negletta, o per timore non ben proseguita, o per poca abilità perduta senza rimedio perduta, facessi il Senato pentire dell'onore affidatomi, e a me con vergogna, ed obbrobrio eterno rincrescere d'averlo accettato.

Romana Republica è il nome con cui fin ad ora questo popolo viene appellato; ma a te, Trajano, a te stesso, ed in faccia di Roma, e attestandone i sommi Dei domando dov'è questa Republica? L'augusto tuo aspetto, la volontaria venerazion nostra, il tuo, e l'universale silenzio, ben mi rispondono, ch'ella è in te; in te solo; ed in te per favore speciale dei Numi

degnamente sta tutta: ma tu uomo sei, e mortale: purtroppo, e sta pur lungi tal giorno, ma per quanto sia lungi, sempre affrettato sarà per questa inferma Republica; purtroppo verrà quel lagrimevole giorno, che noi orbando di un benigno padre, ed il mondo interno dello splendor suo, a calamitosi tempi, a vicende terribili di fortuna di nuovo esponendoci, ed in preda mandandoci, tanto più dolorosa, ed intera farà la rovina nostra, quanto questo breve respiro che sotto il Principato tuo gustato si è, avea in molti ridestate speranze di più prospera, tranquilla, libera, e sicura fortuna. Se in te dunque sta la Republica; se farla infelice, anzi disfarla, e dai fondamenti sottosopra rivolgerla è stato sventuratamente concesso agli iniqui tuoi predecessori, tu mostrare, e convincere dei Roma tutta, che più in ben fare, che innuocere l'autorità vostra si estende: tu, see se dimostrato si è che i mali cagionati da quei mostri, benché immensi, e di conseguenza lagrimosi, e lunghissimi, per la successione di Nerva, e tua poteano pure passeggeri essere si è dimostrato, tu devi, ed è degna di te solo l'impresa, far sì che i beni tuoi durevoli ed eterni rimangano: ed ovviare per sempre che ad illimitata autorità non pervengano dopo te, nè i cattivi per non sovvertire gli ottimi provvedimenti da te fatti né i buoni poiché a ben regolata republica necessarj non sono, anzi ad ogni modo dannosi. ed ovviar e toglier non possono, che ad essi altri principi non buoni succedano. Che un libero stato, ellettive, e passeggiere dignità, nessuna preeminenza, che quella che dà la virtù, nessuna potenza, che quella delle sante leggi, più giovino a far grande, temuta, e rispettata al di fuori, ammirata felice, e invidiata al di dentro una nazione, credo che a Principe già cittadino parlando, non abbisognino prove. Né tu, né io, né questi venerabili Senatori, veduta abbiamo vera Republica; ma non sono sicosì lontani i tempi,che vera, e viva memoria non ne rimanga. Di padre in Figlio la dolorosa tradizione delle passate nostre glorie, giunta colla funesta serie dei recenti nostri timori, pericoli, danni, e avvilimenti, fanno tra loro troppo visibil contrasto, perché ogni buono spaventato non sia dai moderni tempi, e ammiratore, e adoratore degli antichi. E chi più di te, Principe incomparabile? che degli antichi emulator virtuoso, a maggior gloria, volendola, riserbato sei dalle calamità stesse dei tempi; gloria maggiore, e d'assai, senza adulare ad alta voce io tel dico; poiché digran lunga avanza i difensori della libertà, chi volontariamente restitutore se ne fa, potendo senza contrasto la Signoria mantenersi; ed oltre la propria gloria,una immensa poi glie ne ridonda dalle tutte altrui tutte nel progressodei secoli, che figlie della restituita libertà, come da vivo, e chiaro fonte, dalla gloria, e virtù del restitutore si emanano. Ø Nè io finora... Ma vane parole, e di senno, e ragion quasi vuote io spanderei al vento, se prevenendo per quanto il debol mio ingegno il può, le obbiezioni, e difficoltà tutte, che a sìin così straordinaria rivoluzione si oppongono s'incontrano si oppongono si incontrano, non dimostrassi, le ragioni per cui tal azione condurre a fine si debba da te, ed il modo con cui condurla, ed idivini effetti, che ne sarebbero per nascere.

E dalle ragioni cominciando per cui a rifar la Republica, e disfare ad un tempo disfar la Tirannide la Signoria disfare, indurre ti voglio, o Trajano, non mi pare inopportuno, benché cosa a tutti qui nota, di ritoccar brevemente le ragioni per cui parte dal loro mal animo, parte dalla necessità, e corruzione dei tempi, furono i primi fondatori della Tirannide nostra,a distruggere la republica indotti; e in ciò tanto più crudeli, che quasi a scherno dei poveri cittadini lasciando le apparenze, ed i nomi libera republica l'afflissero poi di tutti gli orribili flagelli, che ai più vili, e servi uomini toccato sia di sopportare mai giammai. Le inimicizie di tra la plebe, e il Senato, cagioni ad un tempo delle nostre crescenti virtù, e grandezza, furono poi, oltre la mole tropppa della partenza nostra la ragion principale della rovina. Mario, e Silla, funesti nomialla Romana grandezza, e felicità, furono quelli, che dalle forze Romane, già terrore degli inimici di Roma, si valsero a spaventare, stravolgere, insanguinare,e distruggere Roma stessa. Cagione glien diedero i nostri vizi, ed i loro: pretesto le inimicizie nostre, e fazioni; mezzo i numerosi eserciti, che a cosìsterminato imperio difendere, eran necessari divenuti purtroppo. Ma questi esercitieran pur altre volte di cittadini Romani composti; e tali furono finché sceleratidisegni nell'animo dei loro capitani non entrando, li vollero soltanto a Roma fedeli, ed ai nemici terribili. Ma la spirante Republica, un bello, e magnanimoesempio di Romana grandezza vide ancora, ed ammirò in quel Silla stesso, che l'avea di sangue, e lutto, e tremore ripiena. La dittatura rinunziata, e la cittadinanza, benché superbamente, ripresa, collocarono, e lasciano, Silla primo fra i Tiranni tutti. Un legittimo imperio, assoluto, se leggittimo v'ha, rinunziato spontaneamente,una Republica tornata a vita, a costumi, a splendere, a virtù, a libertà, collocherannoil ristaurator d'essa, e il distruttore della propria Tirannide, primo non che fra i principi, ma fra gli uomini tutti i più liberi, i più virtuosi, i più magnanimi. Di Cesare non parlo; maturo era il servir nostro, e dovendo pur Roma passeggeramente servire, nol potea con minore infamia, che a Cesare. Era forse Pompeo degno di difenderla, se in dubbio, per lui niente onorevole, non avesse lasciato sempre qual cosa anteponesse, egli; la Republica, o se stesso. Quella triste successione poscia, di Principi tali, che i non furibondi, buoni chiamaronsi, andò ad un tempo struggendo il libero, e maschio pensare, le virtuose azioni, la memoria perfin d'esse, ma consumò ad un tempo se non tutti, gran parte, se non tutti, di quegli umori perversi, che alla rovina della libertà contribuito avevano. In quelle guerre civili estinte più che a mezzo le legioni antiche use a donare, e toglier l'impero, pur nelle le continue guerre interne agguerriti gli eserciti nostri tanto più che Romani a Romani combatteremaggior virtù richiedeasi, facilmente poi nei brevi respiri dalle dissensioni domestiche, passarono a respingere i nemici, ad assicurare, ad estendere i confinidel Romano impero: i cittadini finalmente atterriti, ed attoniti dai mali in cui i loro vizi immersi gli aveano, e purgata la città per la tirannide di que' mostri, dai più

ricchi, potenti, e soverchiatori cittadini, questo gran corpo, debole sì, attenuato, ed infermo ma non estinto rimase. I pochi anni dell'impero di Nerva, e del tuo insegnarono a noi stessi, che tacendo il timore potea riparlar la virtù. Rinsaviti dai passati mali ed il vizio perdendo gl'infami suoi premj, s'andò per se stesso consumando nella dovuta sua oscurità, e bassezza, ovvero se l'audace fronte osò pure di tempo in tempo inalzare la meritata pena lo avvertì che il Principato pendeva in Republica. Oggi dunque mentre io parlo, o Trajano, Roma, dagli esempj tuoi generosa invitata al ben fare, ha i rei in assai minor numero dentro di se, ed i buoni, ora, che senza pericolo tali mostrare si possono, molti più, che da credere non sarebbe dopo si lunga tempesta, o si manifestano, o rinascono, o anche dalla necessità traviati finora, al sentier di virtù, benedicendo te come loro infallibile, e magnanima scorta, pieni di nobile invidia ritornano; tanto più caldi proseguitori di essa, quanto la macchia della loro passati falli più acerbamente gli stimola a torsela. Se dunque dimostrato ti ho, che la Tirannide quì sorse, perché tutto era preparato per riceverla, e meritarla, ancorchè si evidenti prove io darti non potessi, che oramai qui tutto è preparato per ricevere, e mertitar libertà, l'altezza del tuo core supplirà spero, e alla scarsità delle prove mie, e alla mancanza di virtù nei Cittadini nostri: che troppo ben sai, che di restituita libertà, suole, e dev'essere la publica virtù più Figlia, che Madre

2° giorno

Né altra ragione posso io far precedere a quella, che la cosa essendo grande in se stessa, ella è degna di te. Al Principe nessun'altra cosa da acquistarvi rimane, che chiara fama. Tutto il rimanente in copia possiede, e forse gli soverchia, ed è quella stessa abbondanza fastidio, e cagione per lo più, che nel seno di torpid'ozio immemorre di se stesso, ei perde ogni amore di gloria, o dalla sazietà stimolato, d'acquistarla cerca per vie fallaci, non ragionevoli, ed al pubblico dannose, non meno che a lui. A te,Trajano, una comune gloria bastare non puote, ed ogni gloria è comune ai Principi, fuorchè quella inaudita, d'essere i i fondatori, o restitutori di libertà. Ed in fatti: se tu, benché vincitore dei Daci, e restitutore a Roma dell'antica sua militar disciplina; per ledalle egregie vittorie tua fama di chiaro capitano ne aspetti, non ne avrai però tanta giammai, che a Cesare, non che superarlo, t'agguagli. Se dal comporre in un sopore di pace la città e facendovi ad un tempo l'arti, le lettere, e il servaggio fiorire, gli animi dei cittadini dalla turbolenza distorre, ove tal funesta politica abbi fra gli uomini già liberi partorir fama potesse, certo in tal arte, ch'esser la tua mai non potrebbe, di gran lunga soverchiatosuperato dal lungo Regno d'Augusto saresti. Se da una certa molle benignità, che molto pur si valuta nel Principe, allorchè taccion le leggi, ed ei solo le interpreta, strugge, muta, e sovverte, Tito te ne ha preoccupandola, intercetta la via. Degli altri Romani Principi non ardirò pure il nome pronunziartene; troppo certo, che Trajano all'imperio assunto, altro più caldo desiderio in petto, e in mente non accolse, che di farne per sempre obbliar la memoria. E migliore, e più certo, e più efficace mezzo ad ottener tal intento, mai scegliere mai non potresti, che di tua autorità giusta benché illimitata servendoti, purché per stabilire invariabilmente libertà, che per se stessa poscia, e i Neroni, e i Tiberi, e i lor simili non che ammettere all'imperio degli uomini, non soffre, direi che Natura tai mostri genera, o nati appena nel suo seno li estingue. Ed in fatti, osservo, ottimo Principe, come

a poco a poco la scellerata baldanza, e l'inula disumana stoltezza crescesse in quei regnatori; come il valore di Cesare appianasse alla pusillanimità d'Augusto la strada, come la lenta, e coperta Tirannide d'Augusto, generasse poi l'astuta, e crudele di Tiberio, e da questa finalmente prorompesse senza limiti conoscer più la furibonda di Caligola, di Nerone, di Domiziano; a cui quel breve intervallo di Vespasiano, e di Tito, non bastò pure a togliere i mezzi, o a menomarli, di riassumere un'intera, inaudita, e sfrenata tirannide. Tristo, orribile, e recentissimo esempio, che t'avverte, o Trajano, che alla tua bontà, umanità, giustizia, e moderazione può tra pochi anni sottentrare con intera nostra rovina, un mostro non inferiore ai sopra nomati. E di quello le crudeltà, le violenze, le rapine, l'onte, le stragi, tutto, purtroppo, non meno che a lui autore di esse, a te ne verrà imputata la colpa; alla fama tua ne verrà grandissimo minoramento, al tuo stesso nome, e memoria grand'odio; poiché potendo per l'autorità degli dei, e dal rinascente Genio della Romana Republica a te affidata, restituir libertà, e toglier per sempre con efficaci leggi, e sagaci mezzi, i Tiranni, eseguito non l'hai. Ed a Tito chi perdonare può mai l'aversi lasciato succedere Domiziano? Gli era Fratello; ma Roma gli era, o doveagli esser più che Figlia. Nol potè, nol volle forse egli spegnere. Fraterna pietà fu l'eccidio ultimo, e quasi intero di Roma. Felice te, Trajano, che congiunti non hai, che Figli, parenti, ogni più cara cosa nella sola Republica conti. Nessuna ingiustizia, nessuna crudeltà t'è mestieri per isgombrare questo soglio! Ciò che dal divino Nerva non come parente, non come amico suo, ma come ottimo fra i buoni per suo avvedutissimo discernimento ottenesti, tu rendere il puoi a chi spetta; tu col cessare di comandare ad uomini nati tuoi pari, cominciar veramente a farti per sempre maggior di loro, in virtùchiarezza, in fama, in virtù. Nè potrai tu dubitare, di non avere assai accresciuto il tuo lustro, e migliorato il tuo essere, poichè libero cittadino facendoti, tanto più in pregio, e la tua, e la nostra libertà ti dev' essere, quanto ne sei tu stesso, tu solo, tu primo il creatore; e se in Roma non è spenta del tutto la memoria di Roma, ognuno di noi sa, che libero, cittadino, e Romano, tre nomi sono a cui nulla s'agguaglia, nulla si aggiunge; e a cui l'odioso nome, o possanza di Re, infamia bensì, e vergogna, e pericoli, ma non mai gloria, nè splendore può procacciare. Quanto più a grado la venerazion nostra, l'obbedienza, l'amore, la gratitudine ti sarebbe, se da quel funesto pensiero disgombrar tu potessi la mente tua: che finché tieni l'impero, sempre, e giustamente dubitare ti lascia, se a te, o alla possanza tua ossequio tanto tributasi. Ad alta prova, ma sicura, tu metti, e Roma, e te stesso; né io per consigliarti tal magnanima azione particolar gloria a me stesso procaccio, né un'atomo pure della tua detraggo. Il pensier mio, è quel di tutti, e l'ardirtelo esporre, non del coraggio mio, ma della tua virtù più altamente grida gli encomj; che Principe a cui si propone di distruggere il Principato, deve pure assai apertamente, e generosamente essersi già manifestato aver egli di vero cittadino, e non di principe l'animo. Tale tu sei, e egregio Trajano; tal ti mostrassi, ed a Roma, in publico ed ai tuoi ben'affetti tra quali me non disdegni, in privato. Tuo primo, e solo, a più intenso desiderio si è il far felice, grande,

tranquilla Roma, e sicura; ciò chiaramente vuol dire il farla libera. Interprete io a te stesso de' tuoi stessi pensieri, non ti richieggo già di compiacere a noi, ma di soddisfare a te stesso. Cagione dunque primiera di far tal azione, parmi averti dimostrato chiaramente essere la vera grandezza, anco possanza, e gloria tua. E non perché io creda che tu anteponghi alla Republica tu stesso, ti ho io voluto assegnare per prima cagione l'utile tuo, ma per dimostrarti alla faccia di Roma, che tale, e tanto è l'affetto che da essa acquistata nel tuo governo ti sei, che era nessuna felicità sua in conto terrebbe, se a te prima che a lei grandezza, vantaggio, ed eterna memoria ridondare non ne dovesse. Dei meriti nostri cagioni dimostrarti per cui indurre ti debbi a restituire libertà, non è così lieve; ma pure prima, e potentissima sia, e da bastar quasi sola; il desiderarla ardentemente noi tutti; e gran titolo a meritarla questo parer ti deve. E non credere già, che io nel dir libertà altro intenda, che d'obbedir sempre a Trajano; cioè alle leggi, di cui egli è difensore; ma, che, cessando egli, possono nella persona d'altro potente al par di lui, un sovvertitore trovare. Gli animi nostri dunque prontissimi a rivederla son ed ottenuta a difenderla; di ciò ti facciano piena fede le tante, e si spesse congiure contro i passati principi, le tante volontarie morti di chiari, e potenti cittadini, non per altra ragione di vita sfuggiti, che per involarsi a Tirannia; l'odio del nome di Re, in da ogni Romano succhiato col latte, ed oramai trasferito ad ogni possanza illimitata, ed ingiusta, ch'anche sott'altro nome si esercita. Grande tu sei troppo, ed io libero troppo mostrar mi ti debbo a non parer indegno della causa ch'io tratto, perché io ti taccia, che il nome d'Imperatore, poiché tutti i mali di quel di Re, in se stesso raduna accoglie, odioso non meno ad ogni Romano s'è fatto che quel di Re. Tacer non ti posso, che in te si ama, si adora le doti, l'animo, la virtù di Trajano; ma si abborrisce, e si trema della dignità, possanza, e nome d'imperator Re. Ad animo generoso quale il tuo, ardisco io esporre fra il primo de' meriti nostri, ciò che ad altro volgare Principe, ogni maligno, e vil delatore esporrebbe come il primo dei tradimenti. Si Trajano, i cittadini di Roma dai loro lunghi mali, dalle orribili passate Tirannidi, ed in ultimo più efficacemente ancora dai pochi felici anni del tuo impero, rientrati in se stessi, e ritornati Romani, odiano ogni freno, che può impedirli d'essere, e di mostrarsi tali: l'odiano, e per bocca mia a te il dicono, e se tanta elevazion altezza di pensieri spiacer mai potesse a chi ne diede gli esempi, ed i mezzi, te stesso incolpano, o Trajano,che lasciando respirar la città, hai fatto ritornare rivivere nei cittadini la calda memoria dei loro sacri prischi diritti, e della passata loro libertà e grandezza. A voler essere imperatore tu, di nome e di fatti dovevi dunque colle solite usate violenze, incutere ai cittadini tremore, e alla oppressa virtù imporre eterno silenzio così almeno l'odio meritando e gl'iniqui frutti cogliendone; o se di libero governo piaceati di mostrar l'apparenza, perché non assicurarne in eterno la base, col togliere affatto la Tirannide? A mezzo beneficar non si può un popolo; sollevarlo dall'oppressione perché poi altri di nuovo ri opprimer lo possa più crudeltà, che vera pietade sarebbe. Ma tu pietoso, umano, giusto, e sagace, tai mezzi forse hai in vista pensier d'adoprare, per cui l'impero sia per essere d'ora in poi mite, giusto, e non contrario a virtù? Nè tu il credi, nè noi. Un'uomo nella republica saravvi, che o per adozione di Principe, o per eredità, o per elezione di soldati, ed anche, se vuoi, per elezione del Popolo tutto, salità in dignità primaria, perpetua,

non frenata, non impedita, e avvalorata anzi da molti eserciti? Costui sarà, né altrimenti, nomar lo possiamo: un Tiranno. Forse mite, forse giusto, forse buono, fors'anche ottimo, ma odiosissimo sempre a liberi cittadini, e ferocissimo mostro riputato, perché starà in lui, ed in lui solamente, di non essere nè mite, nè giusto, nè buono. Un popolo che in tal guisa pensando, non ha ancora del tutto sovvertite le idee del giusto, e legittima autorità reputa quella soltanto, che data,e con limiti, da chi può potè darla, può togliersi,un tal popolo, parmi, merita ancor libertà; e tale, o Trajano, è questo Popolo, che tu colle leggi governi, ed a cui provveder devi, se ti cale la sua gloria, e salvezza, ch'altro mai chi le sacre leggi dovernare d'ora innanzi nol possa. Dall'odio dell'autorità tua, e dall'amore immenso di te che moderatamente l'eserciti, puoi dunque viepiù imparare a conoscere, ed apprezzare il popolo, e te stesso. A Principe maggior del suo impero, non altrimenti da libero cittadino si parla. M'è noto, e non nego, che sì nella Plebe>, che fra i Patrizj molti ve n'ha, che dai passati governi nei vizi, e nelle brutture travolti, d'essere Romani non sanno: e tal numero forse, se non sovvertire, agguaglia almeno quello di chi caldamente il rimembra; ma che perciò? lascierà l'ottimo Principe, il padre di tutti, di giovare a tutti, perché gran parte nol merta? L'esempio, la virtù in pregio, la sicurezza, la ben'adoprata incussa vergogna, e più di tutto le severe, ben'eseguite leggi in pochi anni possono i guasti a mezzo soltanto, far rivivere, e rinsavire, ed i putridi corrotti membri della Republica estirpare. Anche al cacciar che Roma fece dei Tarquinj, molti partigiani della Tirannide, molti, rei, molti vili, molti traditori entro il suo seno serbava: ma che? lo splendido esempio d'un Bruto ne' figli, le tante, e tante virtù a gara della stessa necessità procreate, tutto in breve contribuì a far nascer quella Roma libera, alla cui gloria, e possanza fu poscia angusto termine il mondo. I cittadini dunque in due parti dividendo, dico che ai buoni dei restituir libertà, perché ne son degni, ai cattivi perché per mezzo d'esserlo di essa d'esserlo cessino ;. eE che i vizi tutti son del timore, della licenza, dell'ingiustizia, della dispotica autorità insomma figli necessari Figli, e veraci, credo dai fatti dimostrato ti sia, non meno che della libertà essere necessari, ed illustri figli, il valore, la giustizia, la fede, i costumi, e tutto insomma ciò che mai può agli uomini assicurare potenza, gloria, permanente stato, invidia dei nemici, ammirazione, e venerazione dei posteri. Dei mezzi di eseguire così magnanima impresa, ora che per quanto io seppi, dimostrato ti ho, che per te la dei fare, e per noi, colla libertà stessa, coll'amor vero della patria, e di te, e del retto, discorrerò; non per insegnarteli: che più di me li sai; ma per convincere pubblicamente anche i più tiepidi amatori di libertà, che facili sono, mentre i più, impossibili li reputano; ma facili sono imperatore Trajano: ed impossibili purtroppo sotto ogni altro principe stati sono, e se tu non provvedi, per sempre il saranno.

3° giorno La legittima autorità in Roma libera stava nella Plebe, e nel Senato . ne Rivestivano questi a vicenda, e passeggieramente i Consoli, Tribuni, e Dittatori. Cose note notissime, ma da gran tempo in questo Senato non più mai, e con sommessa voce fuor di questo consesso tremando rammemorate. Piacemi qui col rammentarle, col parlarne in non dubbie, nè oscure parole

che testimoniare a Roma, che sotto Trajano non è delitto il ricordarsi di Roma, l'investigarne la vera grandezza, e libertà, e il desiderarne il rinascimento. Purtroppo è vero che le umane cose labili tutte, e caduche poco nel loro stato permangono. Le cagioni della rovina nostra dalla nostra troppa fortuna, e grandezza, scogli difficili all'umana felicità debolezza, più assai che la sfortuna, e piccolezza, non d'altronde ripeter dobbiamo. Il Console che d'un anno d'impero più che contento dopo essersi mostrato ai nemici di Roma soldato, fra le sue patrie mura tornava pieno di vera gloria, e di patria virtù a mostrarsi cittadino, nulla perdeva col perder l'impero; maaggiunte alle dolci prerogative del libero cittadino, le dolcissime lusinghe di chiara, e meritatafama, un più dolce nobile, e durevole impero ritenea, quello della che la conosciuta, e verace virtù dà necessariamente sopra chi n'è ammiratore, ed amante. Quindi si componea di consolari uomini quel venerabil Senato, che tanti anni, e tanti non che dal suo augusto corpo un Re ne traesse,era dei Re della terra il terrore ad un tempo, e l'ammirazione. Le lontane, e molte guerre,costrinsero poscia Roma a moltiplicare gli eserciti, e i Capitani, e con somma imprudenza ne lasciò l'impero troppo lungamente a cittadini, che tosto cessarono d'esserlo.Così i soldati, tratti altre volte dal cuore di Roma, o dall'Italia almeno, tratti coll'andar del tempo dalle più rimote provincie, barbari quasi di costumi, e di civiltà; Roma niente, o mal conoscendo; di sangue già ad essa nemico procreati, di libertà vera ignari, la republica nel lor capitano riponeano, se con illustri, e spesse vittorie, ad essi, ed a fomentare i loro vizi assicuravano molte, e ricche prede. CesarePrimo, ebbe la baldanza, la crudeltà e la viltà dirò io di farsi tacitamente de' suoi soldati Re, per essere poi della sua patria apertamente Tiranno. Illungo comando ch'egli ebbe d'un numeroso esercito nella Gallia, comando, che la debolezza del Senato, la corruzione, e venalità di molti gli dava, e poi confermavagli diede tempo ad ordire quella fatal congiura contro la Republica, che mai poscia non rivisse. Ma al corrotto animo di Cesare convien dire, che ben rispondeva il corrotto de suoi soldati; poiché certo l'amore del capitano per quanto egli fosse, non li potea mai indurre a volgere l'armi contro di Roma, se in essi il disprezzo della republica non agguagliava, o superava il loro l'affetto di per Cesare. Ed in fatti, a Scipione idolo del suo esercito, non avrebbero certo tenuti dietro i soldati se egli contro Roma avviato si fosse; erano ancora quei soldati cittadini; dal cessar essi d'esserlo, al cessar la città non fu, ed essere non potea lungo intervallo: e d'un ed un civile moderato governo, nato tosto mutossi in un militare, e violento. Furono il nostro Senato, le Pretoriane coorti, il tribuno del popolo i centurioni, i sacri Consoli, l'imperator perpetuo, ed unico; e quale? o Roma, puoipotessi tu dello stesso tuo nome ancora appellarti, e così cangiata, così straziata, così vilipesatutto soffriva, e tacerti? ma tempo venne, sì tempo, che le tue acerbissime piagheristorate in medica sovrana mano, ti rifarai più bella, e non men grande, e più saggia: l'imperator unico tuo, Console, e cittadino vero vuol farsi. Gli eserciti numerosi, e superbi, da cui egli non ricevè l'impero, ma che da lui novella e veramente romana disciplina ricevettero, gli eserciti che sotto le gloriose sue insegne imparato hanno non meno a sconfiggere, a debellare i nemici, che a rispettare,conoscere, amare, la Republica, gli eserciti insomma che l'aman temendolo, cesseranno d'essere il flagello, e terrore della città. Niuno imperatore finora potea essere Signor del suo esercito, da cui riconosceva l'impero, nella cui forza affidavasi per esercitarlo, della cui mobilità, e baldanza ad ogni ora, e momento tremava.

Trajano imperator veramente, e non schiavo de' Soldati suoi, dell'autorità sua prevarrassi, perfar ritornare i suoi soldati cittadini; parte distribuendone nelle tante desolate contrade si d'Italia, che d'altre provincie dell'impero, le quali d'uomini esauste, aspettano novellicittadini, che in esse l'arti, la sana agricoltura, il commercio, la felicità ne riportino. Trajano farà i cittadini già pacifici, avviliti, oziosi ed atterriti dai propri soldati, diventar soldati essi stessi per la conservazione della republica; e terribili soldati,e veri, e Romani saranno, quelli, che liberi, e non oppressi al di dentro, contro i soli, e veri nemici di Roma, sotto consoli, o capitani a tempo combatteranno. Da questa lodevole, necessaria, e beata antica mescolanza di nomi, per cui indistinto sia il cittadino, o il Soldato, ogni odiosa sofferenza, ogni soverchiante possa, ogni insidia alla libertà viene annullata, e distrutta. Cittadino, in libera contrada, vuol dire libero, e sicuro posseditore dell'aver suo, dell'onor suo, delle mogli, dei Figli, e di se medesimo; questo ogni uomo tale, è soldato, e terribil soldato per la difesa di queste veramente sue cose. Non è soldato no per la rea ambizione del capitano, o per l'ingiusta cupidigia di un non saggio senato. Roma oramai conquistata ha, se non troppo, abbastanza; spandasi pe' vasti confinidel suo impero la libertà vera, ed il maschio pensare dé maggiori nostrie Roma è bastantemente difesa. Gli eserciti dunque moltiplicati, immensi, sfrenati, e cupidi, frutto di corrotta, e troppo grande Republica, ne furono ilsovvertimento, ne sono gli oppressori, e i distruttori ne saran rimanendo. Ma di ciascun individuo, che un esercito compone, se chi a parte a parte l'animo, e i pensieri, e i desideri spiasse, non in migliaia uno ne troverebbe, nemico veramente del civile vivere. Uomini sono, per quanto rozzi, e dissoluti, e corrotti,uomini sono, a cui poca terra, libero, e queto vivere, con moglie, e figli, e indipendenza basterebbero per render felici: ecco che ciascun d'essi più o men buono,è però cittadino: or donde, donde proviene che tutti assieme sono il contrario del viver civile? Facil è dimostrarlo. Erranti sempre, patria non conoscono; privi delle dolcezze domestiche non conoscono quegli affetti dolcissimi di padre, e marito, che tanto rattemprano l'umana ferocia, e sulle delle altrui sventure compassionevoli ci fanno: Avvezzi alle rapine, e alle prede, scialacquatori facilmente si fannodelle mal acquistate ricchezze; a continua, e dura obbedienza costretti, quella repressa lor rabbia con inumanità fierissima sfogano poi contro i più deboli di loro; e di loro armi insomma vivendo, ogni ragione, ogni speranza, ogniordine, ogni loro cittadinanza nell'armi ripongono. Tali sono i Soldati purtroppo non dirò Romani, né di Roma, ma i soldati, che da Roma han di nudriti han Roma distrutta; e tali devono essere, e saran sempre i soldati, che non son cittadini, che colla stessa mano la spada, e la marra a vicenda non trattano, che Padri nonessendo, cessano d'esser Figli di vera republica. E tai mostri, la di cuifatale esistenza nella loro unione sola consiste, divisi, dispersi, umanamente trattati, uomini ridivengono, e cittadini ad un sol cenno, che Trajano ne faccia. Sì, ottimo Principe, ad un solo tuo cenno migliaja, e migliaja di cittadini rinascono, e con doppio guadagno per la republica, migliaja, e migliaja di nemici di distruttori, di oppressori di essa spariscono; ed essa dagli immortali Dei un tanto prodigio

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riserbato a' tuoi tempi. Cessato appena nei veri cittadini il terrore, che a loro giustamente cagionano questi superbi eserciti, la virtù prima, e principalmente col tuo divino esempio, e poi per se stessa, e per la creatrice libertà in folla si vedranno rinascere. Trajano, tu godrai allora di un bene ignoto sempre a chi impera, d'un bene infinito, sommo, ed inesplicabile, per un core ben fatto, e magnanimo, il trovar emuli nella virtù. || Ma la dolce lusinga dei beni tanti, e sì grandi, che dalla libertà rendutaci ne devono a te, ed a noi ridondare, annoverare non deggio mai sempre, e prima di aver ogni dubbio sulla possibilità di ciò fare dissipato. Che ancora alcuni, e non pochi vegg'io qui intorno, col loro tacito dubitare inquieti per la sicurezza dell'impero, distrutti i Soldati; e dalla novità delle cose che tutte si debbono sconvolgere a tal mutazione, e dagli ostacoli, che soli vedono, ritrarre infinito timore, e perplessità. Romani, pensate, e pesate qual fine vi si propone da questi sconvolgimenti, la libertà: qual fine dall'addormentarsi nel seno di passaggera, e fallace calma, la total distruzione. E sia vero, che non è, che dispersi appena i Soldati, i tanti nimici di Roma invadano l'impero, e poniamo pur anche, che senza difesa trovandolo, fino alle porte di Roma pervengano: vi nuoceranno questi più, o quanto vi nocquero i feroci vostri eserciti da Cesare, da Ottone, da Vitellio contro di voi condotti? Dai Galli assediatori del campidoglio, Roma si riscattava coll'oro; ma libera rimaneva, e vincitrice non indi a molto tornava. Da questi crudeli impostori di Romani eserciti, Roma saccheggiata, arsa, profanata, distrutta, neppure col sangue si riscattava, ed oppressa, e vinta, e doma, e nulla si rimaneva. Contro ai veri nemici, nella libertà, nella virtù che n'è figlia, nella disperazione stessa, e necessità, si trovano armi, e coraggio; contro agli oppressori domestici, che prima necessariamente di opprimerci, corrotti, e guasti ci hanno, niente si trova adda opporre che pazienza, lagrime, e viltà. E se Roma finir pur dovesse, qual fine più degno di essa sarebbe? coll'armi in mano, superati ma non vinti, generosamente i suoi cittadini fra le sue mura in difesa d'esse morendo, ovvero svenati come pecorevil gregge, senza neppure ardir di piangere da un novello Nerone, che di tale vista diletto farebbesi? Ma cessi il gran Giove conservatore di essa, che a nessuna di tai vicende soggiaccia. Soldati ai confini dell'impero diventino, i cittadini veri liberi, e fatti felici; capitanati sieno a tempo dai Consoli, o dai proconsoli nostri; si deponga ogni pensiero di ulteriore conquista; si conosca meglio la vera grandezza di Roma consistere nell'esser libera, e costumata, non nell' immensità dell'impero; che i vizi allargando, le virtù rinserra, e costringe; si ripetano insomma in tutto gli antichi principj che potente l'han fatta, e felice, e quelli con la saggia, e lieve mutazione che i tempi esiggono, la ritorneranno felice, e potente. Ed in ciò fare le vaglia l'autorità di Trajano; felice Roma che in lui Censore, riordinatore, e custode ritrova; Felice Trajano che tanta autorità ritrovandosi in mano, sì nobile, umano, e generoso, e memorabile uso può farne. Riordinare i comizi, estirpare la venalità, dalla confusione in cui giacciono rimettere in chiaro le prerogative, e i doveri di ciascuna dignità; sui nomi insomma come ignude ossa dell'estinta republica, rimasi rannestarne una nuova, ma simile per quanto si può all'antica; raffrenare il lusso sterminato, rimettere in pieno vigore le leggi, e per magnanimo esempio sottoporvisi primo egli stesso, son questi i divini uffici,

a cui è riserbata l'altezza dell'animo di Trajano; son questi gli obblighi immensi, che a tanto Principe avrà Roma; è questa la via, per cui gli onori della divinità, se per l'abuso di cui indegnamente profanati finor non si fossero, meritamente poi dai Romani sarebbero a Trajano accordati. Ma se laida adulazione, ed incredibil viltà, ed obblio totale di lor decoro, e di se stessi, fè dai nostri maggiori venerare, e nomar Dei Cesare, Augusto, ed altri peggiori, Dopo una lunga vita, che i veri Dei non negheranno a Trajano, poiché a restituire Roma lo procrearono elessero, sacr a o sarà per se stess a o, e divin a o, e memorand a o, ed eternamente venerat o a la memoria il nome di Trajano uomo, che ad uomini oppressi, e non liberi, restituiva più preziosa assai che la vita, la libertà. Gli ostacoli che alla magnanima impresa ritrovare si potesse, di cui superato il primo della milizia, tutti gli altri per se si appianano, se ad essere superati esigeranno violenza, Roma rientrata ne' suoi diritti userà contro quei perversi cittadini che tali non sono, la forza; se abbisognerà dopo il senno, sagacità, prudenza, previdenza, e più d'ogni cosa il sublime esempio della virtù, Roma con occhi pietosi rivolgerassi, a Trajano; qual sia la dignità ch'egli a se medesimo riserbi, in quella tutte l'altre staranno; e s'anco niuna quel generoso animo non ne volesse, Trajano privato cittadino, sarebbe pur sempre Trajano Console, dittatore, e se più v'ha - tanto più bello, e lïeto, e puro allora l'impero suo, che tutto alla virtù propria, e all' amore dei suoi cittadini il dovrebbe, non all'altezza del grado, e molto meno al terror degli eserciti. / E per presentarti insomma, o virtuoso egregio uomo, il più dolce termine della tua gloria, avverrà fors'anco, che l'invidia peste non estirpabile fra gli uomini cercherà di lacerarti, di nuocerti; t'udrai forse privato dire con irriverenza, e licenziosamente biasimare; e all'ombra delle leggi per te in osservanza tornate, godrai dell'inesplicabile gioja di esser uomo fra gli uomini, e dai pochi, liberi, aperti e non tremanti nemici, verrai a conoscere che i molti ammiratori, veneratori, ed amici tuoi mentiti non sono. Tutte insomma ed in te, e per sempre in tutti annullando le funeste prerogative dell'assoluto potere, che dà la forza, tutte, ed in infinito numero verrai a riacquistare quelle tante, e sì dolci, e sì grandi dell'uguaglianza. Privato nascesti; ma in disastrosi tempi, e non liberi; d'uomo nel suo intero esercitarne l'ufficio non ti fu dato finora; non quand'eri privato, che cittadino mostrarsi allora non potevi; niun'uomo s'ardiva; non quand' eri assoluto Principe, che uguali non avendo cittadin non puoi essere; primo fra gli uomini e stati, e futuri diventi, dal giorno che dall'impero a vera cittadinanza ascendendo, teco i concittadini tuoi da reo, lungo servaggio a libertà promuovi, ed innalzi. || Ma sempre malgrado mio, non so qual Nume irresistibil mi tragge, mentre io i mezzi di annullar la Tirannide espongo disegno, a descriver i divini effetti, che dalla estirpazione di tal di essa ridonderebbero, senza avveder mene quasi trascorro. Cedasi dunque al divino genio della libertà, ch'egli è certamente quello, che tai detti m'inspira, e col ragionar degli effetti, in tal maniera l'animo di Trajano si accenda ad accordar libertà, e quello dei Romani a desiandola meritarla, che dalla perfetta, concorde, ed intera volontà di chi la brama e di chi la la accordarla s'appresta, vengano 4 ad annullarsi gli ostacoli tutti2, e facilitarsene 1 i mezzi.

4° giorno Già tanti e tali mi si affollano alla mente i preziosi beni che dalla libertà restituita ridondar si vedrebbero, ch'io ripieno il core di una dolce emozione, turbato la mentel'animo, d ed accesa la fantasia, e trasportata da sì diversi, e tutti pur lieti, tutti e grandi pensieri, non so qual prima, qual dopo ne narri qual debba accennare, su quale estendermi, quale tacere; onde per la soverchia voglia di esprimere non con studiosa eloquenza, che si alto soggetto la sdegna, ma con semplicità, affetto, e calore ciò che l'animo tutto mi accende, invade, e consuma, tanto meno temo io di poter dire, quanto più sento che termine al dire mai non porrei. Disordina Disordinati accenti come il core, e la fantasia li detta, interrotti fors'anche da lagrime e sospiri di verace gioja, saran gli encomj che da me s'udranno della libertà, e de' suoi dolcissimi frutti. Già già mi si squarcia i dagli occhi il tenebroso velo, che la caligine degli anni involvendo, il pensier nostro nell'angusto termine de' presenti tempi confina; Veggo, sì veggo, e d'un'istesso,e rapido sguardo la nostra Roma qual S'era a suoi felicissimi tempi, qual è nei nostri,quale con novella prosperità, a grandezza sarà nell'avvenire. L'ombra dei Catoni, degli Emili, dei Bruti, dei Regoli, e di tanti altri illustri Romani mi si appresentano in lieto aspetto, e magnanima scorta mi si offrono a farmi conoscere qual fosse quella Roma, ch'essi abitavano, quali le virtù, qual la forza. quanta la felicità, di quei cittadini, qual santità,ed osservanza delle leggi, qual popolo, qual Senato, quali eserciti, qual costanza nell'avversa,qual modestia nella prospera sorte, qual religione e culto degli Dei, quanto insomma di bene una Republica ben'ordinata avesse per la felicità dei cittadini suoi adunato.E tutto, quanto quei generosi con tanto piacere mi svelano agli occhi, tutto diverso,e per l'appunto contrario io veggo essere a ciò che la presente Roma rinserra.Prima virtù di quegli ottimi conosco essere stata il sapere, ed osservare le leggi, nostra purtroppo da gran tempo s'è fatta, il sovverterle, trasgredirle, ed eluderle; e quello più grande fra noi fu stimato, con incredibil cecità di giudizio, che con più rovina nostra, e disdoro,più seppe innalzarsi sopra le leggi. La Forza de' Romani animi con inauditi esempli mostravasi, nel tollerar le militari fatiche, nell'affrontar pericoli per la republica, nel correre lieti, e volontari alla morte, dove dal cessare dei loro individui, ne potesse venire al publico, gloria, o vantaggio; la forza dei moderni animi, con eterno vitupero nostro da gran tempo manifestasi, in sopportare tremando, e tacendo ogni ingiustizia, ogni rapina, ogni oltraggio; o se qualche scintilla di Romana fortezza in alcuno pure rimaneva, ad uscir volontariamente di vita, per isfuggir la Tirannide gli valse: e dove l'immolarsi i Deci, e tanti altri in pubblico onore, ed util tornava, l'uccidersi fra noi quei pochi, che morte a servitù anteponevano, in publico danno, poichè un buon cittadino meno, dove pochi ne sono, è irreparabil perdita, ed in publica vergogna, ed infamia tornava, poichè purtroppo era dimostrazion viva della viltà di quegli altri tutti, che quella non vendicavano, o non imitavano. / Felicità somma, ed unica era in Roma la sicurezza, e l'uguaglianza, donde i costumi, le domestiche virtù, la vera amicizia, la fede, la parsimonia nasceano; Felicità era il vedere felici gli altri, e niuno dalla rovina del congiunto, dell'emulo, dell'amico, o del nemico, traea la propria grandezza. Oimé qual pianto mi accora, se narrare m'è forza qual sia stata finora la felicità de' tempi nostri! Publica non ve n'è stata mai altra, che quei brevissimi intervalli, o momenti, in cui si vide dall'usurpato soglio precipitar quei mostri, che fatto avean fede essere in noi maggior la viltà, e la sofferenza indegna, che in essi la massima efferata crudeltà; Sì, Nerone, Gaio, Domiziano, Ottone, Vitellio nel proprio sangue immersi vittime dei loro delitti, e del tardo furore di pochi, facevano un'ombra di passeggera felicità conoscere, e gustare dai presenti Romani. Ma tutti in lagrime di sangue dal barbaro successore scontar le si fea. Privata felicità in questi orribili tempi è stata di quei pochi infami, che delle libidini, dell'estorsioni, degli uccisioni dei principi, fattisi esecutori, e ministri, dell'altrui sangue impinguati, dell'altrui pianto

pascendosi, sulle rovine pubbliche con baldanzosa insoffribile inumanità, e impudenza d'ogni ricchezza, e d'ogni vizio satolli, sicuri fra le universali tacite grida passeggiavano. Sante, sacrosante erano quelle leggi a cui Roma allora obbediva, appunto perchè Roma le facea; osservate, venerate temute, ell'erano perchè ciascun cittadino in essa rispettava i concittadini suoi, e se stesso. Inique, vilipese e gravose, e trasgradite le nostre, perchè da uno eranson fatte; e da uno non che non migliore, ma di gran lunga d'ogni pessimo peggiore. E dall'uno create, dall'altro distrutte, dal terzo rimesse, dal quarto di bel nuovo annullate, quelle loro rapide, e ridicole vicende, ben larga prova ne sono, che non dal ben publico, dettate, ma dal capriccio, dal proprio interessa, dalla stolidità, dall'insania perfino elle sono. Era il Romano Popolo allora sagace conoscitore de' suoi diritti; acerrimo difensore di essi, generoso emulatore delle patrizie virtù, ferocissimo in guerra, in pace mitissimo; religioso osservator degli Dei, sobrio attivo, amator della gloria, e con avvenuto discernimento sapea non altra ve n'essere per una nazione, che l'essere al di dentro libera, al di fuori ammirata, e temuta. Il popolo che ora di Romano si gode non meritandolo, il solo nome, in ogni crapola, vizi, ed eccessi ingolfato, novelli diritti creati si ha, immemore in tutto degli antichi, non libero, divertito vuol'essere; la ricchezza dai Tiranni rapita ai timidi cittadini, vuole che ad esso con prodiga mano ritornino in giuochi, in bagordi, in conviti. Soldato più non è; dei propri Soldati trema; i nimici dell' impero più non conosce; dei patrizi nemico, e non emulo; sagrilego disprezzator degli Dei, e ad un tempo di timide, e vili siperstizioni ripieno; tale, tale è purtroppo il popolo che già di Marte degnamente figlio nomavasi. Tralascierò di dire qual fosse il Senato; non già che non vil timore perchè io nel moderno Senato favello mi allacci la lingua; ma so, che non è fra voi o Padri coscritti spenta la memoria chiara dei grandi avi vostri, che non ne sono le divine scintille di loro virtù estirpate dai vostri cuori, che fino ad ora campo, e libertà, non desiderio, e possibilità d'esercitarle mancovvi, so che a generosi, e gentili onori troppo è grande il gastigo la coscienza dei commessi falli, perchè vi si aggiunga l'insopportabile onta della vergogna peso della vergogna. Passati sono i più infelici tempi, in cui rimordendo io in Senato de' suoi infami vizi la plebe, e la più vil feccia di Roma, sarei senza volerlo venuto a rimordere i primi dei Senatori. Cancellati sono dai fasti nostri, e dalla memoria nostra perfino quegli infami, che con empie adulazioni, con sanguinose delazioni, con tradimenti, veleni, concussioni, e delitti insomma orribili, d'ogni genere, ed infiniti, aveano della Patrizia classe contaminata a segno la fama, e maestà, che la più vile, e rea, e disprezzabile, ed odiosa in Roma non v'era. Erano quelli; ed esser tali doveano, i Senatori che ai Neroni, e Domiziani toccavano; come voi sete meritamente il Senato, che di Trajano si fregia. || E di quanti lussuosi mali, ho annoverati finora dei nostri tempi, non i miseri cittadini incolpare pretesi; nè, conseguenza necessaria e funesta eran quelle delle infami sceletare Signorie: come necessaria, e fausta conseguenza erano le sopra accennate virtù, e beni, della divina libertà. E già io di baldanzosa speme, e di profetico spirito ripieno antiveggo qual debba fra non molti anni per la restituita libertà tornar Roma, e per infiniti secoli terrore, e ammirazione alle genti poi crescere, e mantenersi. Più che convinto è Trajano, che a voler sotto il dominio d'un solo mantener Roma, egli è un volerla interamente distruggere. Non s'egli eterno vivesse, non s'egli un'altro Trajano, e successivamente, e sempre altri Trajani assumer e si potessero all'impero, non certo allora, s'udrebbe ridomandar libertà; poichè piena si avrebbe; ma l'impossibilità di tal

cosa, il pericolo estremo, che anche l'ottimo principe possa con se sempre di essere questo dalla illimitata potenza, la quel nobile diffidar di se stesso, e dei propri lumi, in chi più ne ha più frequente, tutto addita a Trajano, che la gloria, sicurezza, e vita di Roma, non non si dee, né affidare, né riporre in un solo. Trajano sa, e vede, che uno poter più di tutti, senza che tutti ov'egli ingiustamente voglia, contro quell'uno possano, ella è cosa contraria al retto, alla natura, al buon'ordine, alla felicità; né mai vien creato quest'uno che o dal delirio di tutti, e dal guasto loro animo, o dall'arte di esso; né mai vien mantenendo, che dal timore degli altri, e dalla forza di lui. I consoli principi eletti, ed a tempo di dodici littori più a pompa che ad altro munivano la lor persona, e dignità. Gl'imperatori soli, e perpetui, creati non mai dal volere di tutti, figli delle leggi no, ma delle rotte leggi, d'eserciti interi muniscono la non legittima loro autorità, e dietro essi difendono la tremante persona: i Consoli venerati tutti, stimati se il meritavano, temuti non più delle leggi, non si udì mai che uccisi altro che in battaglia dai nemici cadessero; gl'imperatori, o dagli stessi loro eserciti barbaramente trucidati, dagli adirati cittadini, ben'ampia fede ne fanno, che il poter d'un solo legittimo non è poichè la forza sola il mantiene; ch'egli gradito, non è poichè malgrado la forza contro il furore che negli animi s accende preservar non il può. Ecco dunque, ecco al tacer degli eserciti, rivivere, rifiorire la sacra, la divina libertà. Ecco disperdersi quelle folte nubi d'armati che ingombrano Roma, e che benchè il principe nol voglia, incutono pure fiero timore nel core dei cittadini; e dal timore virtù nessuna. Ecco Trajano d'imperatore cittadin divenuto le pretoriane coorti in più gradito, e nobile, e dignitoso corteggio, e custodia ha cangiate. I cittadini in folla l'accerchiano, beato si reputa chi più d'appresso l'ha visto; lui benedicono, lui vero padre con voci di giubilo gridano; ritorna a poco a poco negli animi lungamente avviliti, ed oppressi l'ardire, l'amor della patria, or che patria può dirsi, l'emulazione al ben fare, l'ardente divina brama di acquistarsi con chiare opere eterna fama. Spianate veggo, arse, e distrutte le insultanti moli che sul palatino torreggiano, destinate ad albergo d'assoluto Signore, Trajano è primo ad abbassarle, ed in privata magion poi ricovrandosi di ben'altra grandezza fa nostra, che non quei superbi vili Signori nel fare di quegli immensi edificj velo orgoglioso alla lor nullità. quell'alto seggio da cui nel Senato ei m'ascolta, ei primo ordina che si tolga, ben certo che fra gli altri sedendo Trajano non sarà perciò fra gli altri confuso. Al grido che tosto la rapida fama di sì maraviglioso cangiamento fino all'estremità dell'impero ne porta; vengono in folla d'ogni parte, d'ogni grado a veder cogl co' lor occhi un'uom si divino: una così incredibile, ed inaudita virtù; e testimoni poi ne riportano alle loro genti l'ammirazione, l'amor della vera virtù, della patria, della restituita libertà. Ogni Padre baciando, ed abbracciando suoi figli, d'allegrezza piangendo esclama: Figli miei, che tali sol da oggi incomicio a reputarvi, e nomarvi, Figli miei cari assicurati mi sete da oggi, e non pria. Osservando io le sacre leggi, non tremo che la violenza, e crudeltà vi rapisca dai miei lari: da voi in tutta pace, e sicurezza gli antichi occhi chiusi mi fieno; voi legittimi eredi della sostanza mia non tremo che spogliati ne siate; non l'ossa mie perturbate, e disperse; non la fama mia, che assai peggio è, calunniata, e ritolta ;.

5° giorno. Le matrone, che in lor giovinezza e tutti i pericoli. e tutti gli oltraggi a cui la beltà può esporre nei tempi di Tirannia non libertà, han visto purtroppo dappresso, e che o con fuga, o con tenersi nascoste a gran pena sottratte sen sono, alle lor tenere Figlie, lor dure passate vicende narrando, di vero materno pianto lor bagnano il seno; e d'allegrezza, d'esultanza ripiene poi gridano. Felici voi donzellette, che ai tempi di Trajano nasceste, voi che della restituita libertade in pace godrete; che dal fianco dei dolci, ed amati mariti

null'altro che morte a disvellervi basterà; voi che senza tremare modesta pompa di bellezza, ad un . tempo, e di costumi vi sarà concesso di fare. Non vi dorrà, come a noi amaramente dolea finora, ild'esser madri; poichè di liberi cittadini, di virtuosi, di forti il sarete. Là veggo il ricco non più tremate, non più sollecito a nascondere, a custodire i sepolti tesori; che se mal acquistati non sono, le leggi glie li serberanno intatti, in vece che i passati Principi non contenti di sprigliarlinelo, la vita anco, e la fama sotto il velo di apposti delitti toglieangli. quì il povero con innalzata fronte rimiro pel foro passeggiarsen sicuro, dalle oppression dei potenti; e dal passato avvilimento, e timore nobile sprone all'acerbato suo core s'è aggiunto, per farsi colla virtù chiaro, e in cittadinanza superare chi di ricchezza l'avanza. "+" Le tremule voci ascolto dei vecchi, a cui finora la male spesa, vita, e con fatica serbata vita increscea, felicitar se stessi d'averla pur fin qui strascinata, poichè a sì lieto giorno di veder rinascere Republica conservata pur l'hanno. Contenti muojono, han visto Trajano. La gioventù baldanzosa, dove per l'addietro ne' Teatri ne' circhi, negli osceni conviti, e perfino fra gl'infami gladiatori, il suo tempo con danno espresso di salute, di costumi, e di maschio animo consumava, eccola scesa di nuovo nel campo di marte; là di dimando la possa, qui con generosa lotta addestrando a militar fatica la volontà, libera, e non più contaminate sue membra; altrove di nobil sudore sotto le pesanti armi cosparsa nell' fon acqua lanciandosi con forte nuoto soverchiata del Tevere rigonfio l'onda; crescente speme alla Republica, dolce, e verace sollievo a' suoi Genitori, ammirazione, e terrore ai nemici. "" Già veggo in Senato In quest'augusto Senato già più non odo con sì poca maestà di tal ordine, contendere i giorni interi per decretare mentiti. ed infami onori al vizio imperante; non più conoscere dalle concussioni dei Proconsoli, e questori nelle desolate provincie, non più le reciproche accuse di lesa maestà, non più d'esigli, di confische, di morti, di proscrizioni; il Senato di Roma al suo prisco sacro uffizio riassunto alla sicurezza dei cittadini veglia, e provvede, non alla la pace mantiene ove con decoro del Romano popolo mantenersi ella possa; la guerra ordina, e per mezzo di cittadini Soldati, e di capitani cittadini coll'antica felicità, e virtù ogni guerra più disastrosa, e terribile vince. La sacra via, che al campidoglio conduce un'altra volta di veri Romani trionfi si fregia; e non sovra eccelso carro un'imperatore coi nemici che visti non ha, molle, ed effeminato, coi propri soldati timido capitano, coi cittadini suoi crudele, assoluto, e feroce, ma un imperator soldato, un'imperator cittadino, un'imperatore sottoposto alle leggi veggo tra i veri applausi di libera gioja modestamente attendere al Campidoglio, e del proprio valore, e di qual de' soldati ascrivere piamente al solo massimo Giove soltanto la cagione, ed i frutti. Delle superbe statue, e marmoree imagini, che il maggior foro, ed i pubblici edificzi non ben so se più adornano, o sfregiano, gran parte abbattute ne veggo, | nel fango rimanere scherno ben giusto, e dovuto alla insultata plebe. Le poche erette alla vera virtù, che in liberi cittadini con utile vero sulla republica mostrata si sia, rimangono; ovvero se esse dallo sfacciato vizio tolte, vilipese giacevano, or che a vicenda la virtù ripreso ha l'impero, rialzare, rifare, riadorare si veggono. e fra questo, sola di chi tenne l'impero, per tutto coronata di fiori, accerchiata di prosternati cittadini, torreggia l'imagine di Trajano. Ritornato in onore, per la rarità, e la scelta, ciò che per la sterminata quantita, e la prostituzione avea interamente cessato di esserlo; s'infiammeranno a virtù i cuori dei cittadini; ritorneranno que' generosi, magnanimi, inauditi sforzi

che per la Patria visti sì sono si diversi, e sì spessi in Roma già libera, e ad ottenere publiche statue a mille mille gareggieranno i cittadini in virtù, quando fia ben dimostro, che non più ottenute mai, senza esser più che meritate, non vengorranno. Le ultime provincie dell'impero, se acquistate sovra liberi popoli elle sono, in libertà, ma Romana, tornate, memori della loro antica, null'altro avvedendosi d'aver perduto. nell'esser vinte da Roma. che la loro barbarie, tanto più romane divverranno, quanto all'ombra di migliori leggi più sicure, tranquille, libere, e ricche saranno. A difender se stesse dall'invasion dei nemici, basteranno i suoilor popoli con disciplina Romana da Roman capitano condotti; ed a non mai ribellarsi da Roma basterà loro la perpetua certezza di non essere da ribaldi, avari, ed ingiusti, ed assoluti ministri più sconvolte, oppresse, e predate. Se ad assoluto potere di Re, le hanno le romane armi ritolte, tanto più lieve sarà di serve divenute compagne nell'ordine, nella fede, nella felicità mantenerle. Nell'Italia intera nè l'ombra pur d'un soldato più veggo; i cittadini vi moltiplicano in folla, e se Roma ha nemici, son tutti soldati; e la salvano; ma se Roma ha un Tiranno, cittadini son tutti, e lo spengono. Già già questa Roma seconda, la prima in virtù agguagliando, la sorpassa in potenza, ed in fama. E di tanta virtù, di felicità tanta, di chiarezza sì gran luminosa, di nome sì venerando, e terribile, più che restitutore, il novel creatore è Trajano. Non Romolo col fondar la città, poichè libera interamente non la lasciava; non Bruto col cacciarne i Tiranni, poichè egli a se stesso Signoria non toglieva, eanzi con libertà altezza di grado si procacciava, ad un tempo non i tanti, e tanti Eroi cittadini nostri col servire, e difender, ed accrescer Roma, poichè ai doveri di cittadino col latte succhiati soddisfaceano, non niuno certo di questi agguagliarsi potrà mai a Trajano, che di Signor d'essa, cittadion sen facea; che di schiava, libera la tornava, che di avvilita, grande; di contaminata, pura, di viziosa insomma, rea, scellerata, ed infame, giusta, costumata, esempio di viva virtù la facea. Trajano nato tremante e non libero sotto l'impero di , sfuggito per miracoloso ed ignota, la la sua virtù volere dei Numi alla persecutrice crudeltà dei successori, e pervenuto all'impero finalmente, perch'egli nell'orribile stato di Signoria assoluta, per esperienza conoscendo ednon meno i tiranni, e l'incertezza, e l'impossibilità d'esercitare la virtù in chi serve, che i timori, i rimorsi, e la viltà di chi non assoluto comanda, scegliesse come più nobile, e più sicura, e sola degna dignità dell'uomo, l'essere cittadino: e per esserlo egli con sicurtà, e diletto, un tanto bene a tutti gli uomini del Romano impero viventi, e nei futuri tempi ai più lontani nepoti, sotto custodia di ben restituite leggi assicurava. A così immensa gloria, un bene non minor d'essa, un dono prezioso dai celesti Numi accordato soltanto alla vera virtù, ed ai generosi, e liberi petti, aggiungerai o Trajano. Ripatriata per te in Roma la finora sbandita proscritta santa amicizia, tu benchè stato Principe, cittadin divenuto ne gusterai laquella non pria conosciuta reciproca divina dolcezza "₳"; di dire il vero, e d'udirlo.

Dicesi che Trajano, e l'ascoltante Senato inteneriti a quest'orazione piangessero; sì che a Plinio : ma la conclusion fu, che ed a Plinio molta gloria ne rimase; ma a Trajano rimase l'impero; a Roma, e al Senato la servitù.

Pisa a dì 17 Marzo. 1785.

+ Ma il lusso mortifero fomentatore, e Padre d'ogni vizio, e delitto, non raffrenato da sontuarie leggi inutili sempre ad estirpare quell'idra, ma dai modesti esempli di Trajano, e dal cangiato pensare dei cittadini con pubblico cittadinesco decoro, a vantaggio rivolto è soltanto alla magnificenza dei pubblici edifizi. Le immense ville, boschi, e giardini che l'Italia tutta occupando d'utili, e robusti abitatori la spogliano,al pristino aratro restituire fanno liete di dorate messi copiose lieti le novelle famiglie di liberi agricoltori;e que' luoghi si lungamente stati ricovero d'ogni mollezza, ed osceni piaceri, testimoni ritornano, delle antiche domestiche virtù, ossequio ai Genitori ne' Figli, amor vero nei Padri, modestia, e fede nelle mogli, maschia fierezza ne' giovani alla libertà educati, maturo consiglio, avvedimento provvido, e timor nessuno nei vecchi in libertà vissuti; pace fra i vicini, amorevolezza fra i congiunti, parsimonia, ed innocente letizia fra tutti.

Già odo veggo in Senato e nel foro risorta quella maschia, libera, Romana insomma eloquenza, per cui dalla tribuna tuonando là i popolari Tribuni, qui i Consoli, d'importanti leggi, di del muover guerra, didell'accordare la pace, ai nemicidiscutono. Orator veri son quelli a cui la sublimità del soggetto, materia al ragionare mancarmai non lascia: a cui libertà maestra dell'energico parlare primiera, di lodevole ardire, di caldo amor per la Patria, e di tenace costanza soccorre. Ma dispersi, avviliti, e confusi tacciono quagli altri tanti,che ai tempi dinella lunga nostra servitù d'oratori il nome usurpavansi; colpa dei tempi, nol niego; ma di loro non meno, che con sordide adulazioni così divina arte prostituivano. mentre se non libero era il parlare, liberissimo era pur sempre il taceresi

Ø Nè io finora le a te dovute lodi per le passate tante magnanime tue imprese t'ho date, perché maggiorlode d'assai, e più degna di te mi pare averti tacitamente data che ti favello, o Trajano, nel reputarti capace di questa; cui solamente tentare maggior gloria si fia, che l'aver l'altre tutte felicemente a fine condotte.

dolcezza, di manifestare il tuo core, e vedere apertamente l'altrui, di dire il vero

d'Amsterdam ce 1. juin 1787.

permettez-moi, Monsieur Le Comte, de vous temoigner tout le plaisir que m'a fait votre Panegirique de Trajan. Il fait regrettir à tout aussi de la libertè que le consul Romain qui a fait son eloge n'ait pas été animé des sentimentes que vous exprimez avec tout de force. Si l'on puovoit oublier la date de ces deux panegiriques, on vous attribueroit celui de Pline, votre ouvrage servira à prouver que le vrai philosophe est toujours independant, dans quelque tems qu'il viva et quelque pays qu'il habite. Republicain par ma naissoure et par mes sentiments, j'ai pensè que votre ouvrage auroit toute l'utilitè dont il est susceptible, et qu'il sortivoit en quelque sorte de la clape des productions purement litteraire, si vous l'aviez dediè au despote subalterne

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qui fait le malheur de ma patrie, au Stadhouder Guillaume. j'ose vous prier de suivre cette idée en cas que vous fassiez une nouvelle edition de votre ouvrage ou qu'on en donne une traduction. Il me semble qu'une dedicare au Stadhouder empecheroit de voir au premier coup d'œil toutes.. Les intentions qui vous ont dicte' votre eloge et qu'on ne mettrois point d'obstacled a sa circulation. je suis avec les sentimens Les plus distingués,

Monsieur Le Comte votre très humble et très obeisont serviteur Van Russel