Warning: Attempt to read property "childNodes" on null in /data/www/Omeka/export/compilation-transcriptions.php on line 172

Warning: foreach() argument must be of type array|object, null given in /data/www/Omeka/export/compilation-transcriptions.php on line 192

Warning: Attempt to read property "childNodes" on null in /data/www/Omeka/export/compilation-transcriptions.php on line 172

Warning: foreach() argument must be of type array|object, null given in /data/www/Omeka/export/compilation-transcriptions.php on line 192
Transcription Transcription des fichiers de la notice - Asti, Fondazione Asti Musei, ms. «Ferrero Ventimiglia» Alfieri, Vittorio 1786 chargé d'édition/chercheur Monica Zanardo, Università di Padova / Institut des textes et manuscrits modernes, CNRS-ENS ; projet EMAN (Thalim, CNRS-ENS-Sorbonne nouvelle). PARIS
http://eman-archives.org
1786
Asti, Fondazione Asti Musei, ms. «Ferrero Ventimiglia»
Italien
236 Panegirico di Plinio a Trajano Nuovamente trovato, e tradotto Da Vittorio Alfieri da Asti

Rara temporum felicitate; ubi sentire quae velis, et quae sentias dicere licet. Tac.i Taciti <choice><abbr>Histor.<seg type="superscript">um</seg></abbr> <expan>Historiarum</expan></choice> <choice><abbr>Lib.<seg type="superscript">o.</seg></abbr> <expan>Libro</expan></choice> <choice><abbr> 1.<seg type="superscript">o.</seg></abbr></choice>

238

Nobile, e generoso incarco da voi, P.C.,Padri Coscritti, mi viene in questo giorno affidato, poichè lodi vere ad un'ottimo Principe potrò io dare, senza arrossire; ed egli, spero, senza arrossire ascoltarle riceverle.. E giorno veramente questo di eterna memoria sarà, mimen lusingo, se io di Romano Console la maestà, lungamente per la tristizia de' tempi obbliata, riassumendo, saprò dalla sublimità del soggetto, e dall'opportunità dei tempi trar cose degne d'essere da voi ascoltate, da me dette; e da te, o Trajano, con quella tua finora mostrata benignità, approvate. Alla splendida, difficile, e per l'addietro pericolosa impresa di liberamente parlare al Principe, più ragionevole e santo incominciamento non potrei dare, che invocando favorevoli i Numi. Tu dunque, o massimo Giove che dal Celeste tuo seggio per tanti e tanti anni degnasti col tuo benigno sguardo proteggere ed innalzare questa Romana Repubblica; tu, che in essa tante patrie virtù, tanto coraggio, tante sublimi anime, quasi raggi della tua

divinità, con piena mano spandesti; tu, che poscia, pe' vizi nostri alle virtù sottentrati, con noi lungamente sdegnato, in preda ci lasciasti meritamente ai Tiberj, ai Neroni, ai Domiziani; tu in somma, che ora impietosito dei continui, feroci, ed orribili mali nostri, largo segno della tua risorta pietà cominciasti a darne concedendo Nerva per Imperatore al Popolo Romano, e più largo ancora nell'inspirare a Nerva l'adozione di Trajano; tu, Giove eterno, se gl'incensi, le lagrime, i voti nostri nel Campidoglio a te sacro, ti sono dopo sì lunga ira a grado tornati, inspirami in questo istante sovrumani lumi, e più che mortale eloquenza, per cui iocolla quale io induca questo umanissimo Principe, opera in tutto tua, risolva ad eseguire tal magnanima impresa, che niuna mai e quale finora non siavi, non che eseguita, nè pure pensata; tale, che a chi verrà dopo, maravigliosa ammirazione ne rimanga, coll'impossibilità d'imitarla. Io Cittadino Romano a Principe nato Cittadino parlo, onde, se meno che liberi, salva però la reciproca convenienza, fossero i detti miei, tu primo, o Trajano e con ragione, offeso te ne terresti; quasi io malignamente

239 3

volessi far credere, che chi al cospetto parla di giusto Signore, l'ingiusto sdegno temerne potesse giammai avvilire non poco me stesso, mostrandomi col timido, e, dubbio favellare, più degno di adulare i passati reissimi Principi, che d'altamente parlare in nome del Romano Senato a quest'ottimo: e non fedele Interprete di Roma, di cui la miglior parte, e la più sana in questo augusto consesso rimiro, farei del Consolato mio una trista, e lagrimevole epoca per la Repubblica, se; trascorsa una preziosissima occasione di ricuperarle legittima libertà, o ad altri ne cedessi lo splendido assunto, o, coll'averla per infingardaggine negletta, o per timore non ben proseguita, o per poca abilità senza rimedio perduta, facessi il Senato pentire dell'onore affidatomi, e a me, con vergogna ed obbrobio eterno mio, rincrescere d'averlo accettato.

I.
Romana Repubblica è il nome con cui fino ad ora questo Popolo viene appellato. Ma a te, Trajano, ate stesso, ed in faccia di Roma, ed attestandone i

sommi Dei, domando, dov'è questa Repubblica? L'augusto tuo aspetto, la illimitata venerazion nostra, il tuo, e l'universale silenzio, ben mi rispondono, che la Repubblica è in te; in te solo; ede che in te per favore speciale dei Numi degnamente sta tutta. Ma tu, uomo sei, e mortale; pur troppo (e sia pur lungi dal giorno; ma per quanto sia lungi, sempre affrettato sarà per questa inferma Repubblica>), verrà pur troppo quel lagrimevole giorno, che noi di un benigno padre ed il Mondo intero del maggior suo splendore orbando, a calamitosi tempi, a vicende terribili di varia fortuna di nuovo esponendoci, tanto più dolorosa, e irreparabile farà la rovina nostra, quanto questo breve respiro, che sotto il Principato tuo gustato si è, avea in molti ridestate speranze di più prospero, tranquillo, libero, e sicuro Stato. Se in te dunque sta la Repubblica tutta; se farla infelice, anzi disfarla, e da' fondamenti sottosopra rivolgerla, è stato sventuratamente concesso agli iniqui predecessori tuoi, tu mostrare, tu convincere dei Roma tutta, che più in ben fare che in nuocere, la immensa vostra possanza si estende. E se dimostrato si è, che i mali cagionati

5.

da quei mostri benchè infiniti, e di conseguenza lagrimosa, e lunghissima, pure, per la successione di Nerva, e tua, poterono divenir passeggieri, tu devi (e di te solo è degna l'impresa) far sì, che i beni tuoi durevoli ed eterni rimangano; ed ovviare per sempre, che ad illimitata, e perpetua autorità non pervengano dopo te, nè i cattivi Principi, per non sovvertere gli ottimi provvedimenti da te fatti; nè i buoni, poichè a ben regolata Repubblica necessarj non sono, e toglier ed impedire non possono, che ad essi altri non buoni succedano.Che uno Stato libero, elettive e passeggiere dignità nessuna preeminenza, che quella che dà la virtù, nessuna potenza che quella delle giuste leggi,più giovino a far grande, temuto, e rispettato al di fuori, lieto e felice al di dentro una nazione,ogni Popolo, credo, che a Principe già Cittadino parlando, non ne abbisognino prove. Nè tu, nè io, ne questi venerabili Senatori, veduto abbiamo vera Repubblica; ma non sono così lontani i tempi, che vera, e viva memoria non ne rimanga. Di padre in figlio la dolorosa tradizione delle

nostre passate glorie, giunta colla funesta serie dei recenti nostri timori, pericoli, danni, e avvilimenti, fanno tra loro untroppo fra loro troppo manifesto contrastomanifestamente contrastano perchè ogni buono, spaventato dai moderni tempi, ammiratore non sia, e adorator degli antichi. E chi più di te, Principe incomparabile? che degli antichi emulator virtuoso, a maggior gloria, volendola, riserbato sei dalle calamità stesse dei tempi: gloria maggiore, e d'assai; senza adulare, ad alta voce io tel dico; poichè di gran lunga avanza i più chiari difensori della libertà, chi colui che volontariamente restitutore se ne fa, potendo senza contrasto la Signoria mantenersi. Ed oltre la propria gloria, un'altra immensa poi gliene ridonda dalle altrui tutte nel progresso dei secoli dalle altrui virtù tutte, che figlie della restituita libertà, come da vivo e puro fonte, dalla gloria e virtù del restitutore si emanano. Nè io finora le a te dovute lodi per le passate tante magnanime tue imprese imprese tue tante t'hoti ho date, perchè lode di gran lunga maggiore, e di te più degna, mi pare averti tacitamente data da che ti favello, o Trajano, nel reputarti capace di questaquest'una eseguire; cui solamente tentare, più gloria ti sarebbe, che l'aver l'altre tutte a fine condotte. Ma, vane parole, e di senno, e ragion quasi vuote, io spanderei al vento, se prevenendo, per quanto il debole mio ingegno il può, le obbiezioni e difficoltà tutte, che in così straordinaria rivoluzione s'incontrerebbero, non dimostrassi, e le ragioni per cui tu dei farla, ed il modo con cui condured i mezzi di perfettamente eseguirla, e gli ottimi effetti, che ne sarebbero per nascere.

7.

II

E dalle ragioni cominciando, per cui a rifar la Repubblica,a disfare ad un tempo la Signoria indurre ti voglio, o Trajano, non mi pare inopportuno, benchè cosa a tutti qui nota, di brevemente toccar le ragioni, per cui, parte del loro mal'animo, parte dalla necessità, e corruzione dei tempi, furono i primi fondatori della tirannide nostra indotti a distruggere la Repubblica; indotti, tanto in ciò più crudeli, che quasi a scherno dei miseri Cittadini, lasciando le apparenza ed i nomi di libero governo, afflissero poi la città di tutti gli orribili flagelli, che ai più vili, e servi uomini toccato sia di sopportare giammai. Le inimicizie tra la plebe e il Senato, cagioni ad un tempo delle nostre crescenti virtù, e grandezza, furon poi, oltre la mole troppa della potenza nostra, la cagion principale della rovina. Mario, e Silla, funesti nomi alla Romana grandezza e felicità, furono quelli, che delle forze Romane, già un dì il terrore degli inimici di Roma,si voalsero a spaventare, stravolgere, insanguinare, e distruggere Roma stessa. Cagione glien diedero i nostri vizj, ed i loro, pretesto le inimicizie nostre, e fazioni;

8.

mezzo i numerosi eserciti, che a così sterminato imperio difendere, necessarj erano divenuti pur troppo. Ma questi eserciti erano pure altre volte di Cittadini Romani composti; e tali furono, finchè scellerati disegni nell'animo dei loro Capitani non entrando, li vollero soltanto a Roma fedeli, ed ai nemici terribili. Pure la spirante Repubblica un bello, e magnanimo esempio di Romana grandezza vide ancora, ed ammirò, in quel Silla stesso che l'avea, di lutto, di tremore, e di sangue ripieno.riempiuta. La Dittatura rinunziata, e la cittadinanza, benchè superbamente ripresa, collocarono, e lasciano Silla, primo fra i tiranni tutti.infra i tiranni tutti il più grande. e magnanimo.. Un'assoluto imperio legittimo (se legittimo v'ha) rinunziato spontaneamente, un Popolo tornatoricondotto a costumi, a splendore, a virtù, a libertà, collocheranno ilassegneranno al ristauratore di essa, e ilal distruttore della propria tirannide, primoil luogo(2) primo(1),, non che fra i Principi, ma fra gli uomini tutti i più liberi, i più virtuosi, i più magnanimi. Di Cesare non parlo; maturo era allora il servir nostronostro servire; e dovendo pur Roma per

9.

poco tempo servireesser serva,, nol potea con minore infamia, che a Cesare. Degno era forse Pompeo di difenderla, se in dubbio per lui niente onorevole non avesse lasciato sempre, se tenuto il mondo intero non avesse in un dubbio niente per lui onorevole; qual cosa anteponesse egli, la Repubblica, o se stesso. La trista successione poscia di Principi tali, che i non furibondi buoni 2 chiamaronsi1, andò struggendo il libero, e maschio pensare; lei virtuosei azionifatti, e la memoria perfino di essi indebolì, e nascose: ma, consumò ad un tempo, se non tutti, gran parte di quegli umori perversi, che alla rovina della libertà contribuito aveano. Nelle spesse, e lunghe civili guerre, estinte e rinnovate le legioni già use a donare, e togliere l'impero; agguerriti gli eserciti nostri tanto più, che Romani a Romani combattere, maggior virtù richiedeasi; facilmente poscia nei brevi respiri dalle domestiche dissensioni passarono a respingere i nemici, ad assicurare ed estendere i confini del Romano impero. I Romani finalmente atterriti ed attoniti dai mali in cui precipitati gli aveano i loro vizjvizj loro; e per la incessante tirannide di quei mostruosi pPrincipi purgata, e vuota la città dei più ricchi, potenti, e soverchianti

Cittadini, questo gran corpo, debole sì, attenuato, ed infermo, ma non estinto, rimase. I pochi anni dell' impero di Nerva, e del tuo, insegnarono a noi stessi, che tacendo il timore, potea riparlar la virtù. Rinsaviti noi dai nostri passati mali, nostri, ed il vizio perdendo gl'infami suoi premij, s'andò per se stesso consumando nella dovuta sua oscurità,e bassezza; ovvero, se l'audace fronte osò pure di tempo in tempo innalzare, la meritata pena lo ammonì, che il principato pendeva in Repubblica. Oggi dunque, mentre io ti parlo, o Trajano, Roma dagli esempj tuoi generosi, al ben fare, invitata, ha dentro di se in assai minor numero i rei: ed i buoni, ora che senza pericolo tali manifestare si possono, molti più che da credere non sarebbe, dopo si lunga tempesta, o si manifestano, o rinascono, o anche, dalla necessità traviati fin'ora, al sentier di virtù, benedicendo te, come loro infallibile, e magnanima scorta, pieni di nobile invidia ritornano; tanto più caldi proseguitorisettatori di essa, quanto la macchia dei loro passati falli più acerbamente gli

11.

stimola a torsela. Se dunque dimostrato ti ho, che quì sorgea la tirannide perchè tutto preparato era per riceverla, e meritarla; ancorchè così evidenti prove io darti non potessinon ti potessi io dare così evidenti prove, che oramai quì tutto èsia preparato per ricevere e meritar libertà, l'altezza del tuo core supplirà, spero, e alla scarsità delle prove mie, e alla mancanza di virtù nei Cittadini nostri infelici, e non liberi: troppo ben sai, o Trajano, che di restituira libertà suole, e deve essere la pubblicala pubblica virtù suole, e deve essere della restituita virtùlibertà, più figlia, che madre.

III.

Nè altra ragione posso io far precedere a quella, che la cosa essendo grande in se stessa, ella è degna di Trajano. Al Principe nessuna altra cosa da acquistarvi rimane, se non chiara fama. Tutto ilIl rimanente tutto in copia possiede, e forse gli soverchiasoverchia a lui forse;; ed èe quella stessa abbondanza èfastidio, e cagione per lo più, che nel seno di torpido ozio, immemore di se stesso, egli perde ogni amore di gloria; o dalla sazietà stimolato, d'acquistarla cerca per vie fallaci, non ragionevoli, e al pubblico dannose non meno

che a lui.se. A Trajano una comune gloria non può mai bastarebastare mai; ed ogni gloria è comune ai Principi, fuorchè quellala inaudita finora, d'essere i fondatori, o restituori di libertà. Ed in fatti, se tu, benchè vincitore dei Daci, e restitutore ariformatore in riformatorerinnovatore in Roma dell'anticasua militar disciplina, dalle egregie vittorie tue fama di chiaro Capitano ne aspetti, non ne avrai però tanta giammai, che a Cesare, non che superarlo, si agguagli: se dal comporre in un sopore di pace la città, e, col farvi ad un tempo le molli arti, le non vere lettere, e il servaggio fiorire,e gli snervati animi dei Cittadini da ogni turbolenza distorre; ove tal funesta, e timida politica presso ad uomini già liberi partorir fama potesse, certo in tal'arte, che essere la tua mai non potrebbe, di gran tratto superato saresti dal lunghissimopacifico lunghissimo Regno d'Augusto>: se da una certa molle benignità, che molto pure si valuta nel Principe allorchè taccionotacendo le leggi, ed egli solo le interpreta, strugge, muta, e sovverte; Tito te ne ha, preoccupandola, intercetta la via. Degli altri Romani Principi non ardirò pure

244

pronunziarteneproferirtene il nome; che troppo ben so, che Trajano, assunto appena all'impero assunto, altro più caldo desiderio in petto ed in mente non accolse, che di farne per sempre perfin la memoria obbliare. E migliore, e più certo, e più efficace mezzo ad ottener tale intento scegliere mai non potresti, che di tua autorità giusta, benchè illimitata, servendoti, per invariabilmente stabilir libertà; la quale per se stessa poscia i Neroni, i Tiberij e i lor simili, non che ammettere all'imperio degli uomini, neppur soffre, direi, che vengano da Natura generati tai mostri; o, nati appena, sotto il peso delle leggi, e dell'uguaglianza, nel proprio seno gli estingue. Ed in prova, osserva, ottimo Principe, come a poco a poco la scellerata baldanza, e la inumana stoltezza crescesse, in quei rRegnatori; come il valore di Cesare appianasse la strada alla pusillanimità d'Augusto la strada; come la lenta, mite, e coperta tirannide d'Augusto generasse poi l'astuta, e crudele di Tiberio; come da questa finalmente prorompesse poi, senza limiti conoscer più, la furibonda di

Caligola, di Nerone, di Domiziano; a cuial quale quel breveintervallo di Vespasiano, e di Tito, non bastò però a togliere, i mezzi, o menomarli,o a menomare i mezzi di di riassumere una intera, inaudita, e sfrenata tirannide. Tristo, orribile, e recentissimo esempio, che t'avverte,o Trajano, che alla tua bontà, umanità, giustizia, e moderazione, può tra pochi anni sottentrare con intera nostra rovina un mostroniente minore dei sopra nomati. E di quello le crudeltà, le violenze, le rapine, l'onte, le stragi, i mali tutti insomma da quel mostruoso principe derivati derivati fatti, a lui autore di essi, a te imputati verranno, purtroppo; alla fama tua ne verrà grandissimo 2 minoramento 1; al tuo stesso nome, e memoria grand'odio: poichè potendo, per l'autorità daagli Dei, e daal rinascente Genio della Romana Repubblica a te affidata, restituir libertà, e togliere per sempre con efficaci leggi,e sagaci mezzi per sempre i tiranni, eseguito non l'hai. Chi perdonare può a Tito l'essersi lasciato succedere Domiziano? Gli era fratello; ma Roma gli era, o doveagli 2, essere 1 più che figlia. Nol

245

potè, nol volle forse egli spegnere, benchè quello scellerato contro lui congiurasse. Magnanimo in ciò Tito, ma come privato, non come Principe: che se le proprie ingiurie perdonar pur volea, possente ritegno alla inopportuna demenza essergligli doveano pur essere le tante, e sì atroci ingiurie, che ben prevedea doversi da Domizianoin possanza salito poi fare alla desolata Repubblica. Fraterna pietà fu dunque l'eccidio ultimo, e quasi intero di Roma. Felice te, o Trajano, che congiunti non hai; che figli, parenti, ogni più cara cosa nella sola Repubblica conti! Nessuna ingiustizia, nessuna crudeltà ti fa d'uopo per isgombrar questo soglio. Ciò che dal divino Nerva, non come parente, non come amico, non come suo laudatore, suo, ma come ottimo fra i buoni, per l'avvedutissimo suo discernimento ottenesti, tu rendere il puoi a chi spetta: tu, col cessare di comandare assolutamente ad uomini nati tuoi pari, cominciar oggi a farti veramente; e per sempre, maggior di loro in chiarezza, in fama, in virtù. Nè dubitar tu potrai di non avere assai accresciuto

il tuo lustro, e migliorato il tuo essere, poichè liberto Cittadino facendoti, tanti più in pregio, e la tua, e la nostra libertà ti dev'essere, quanto ne sei tu stesso, tu solo, tu primo, il verace creatore: e se in Roma non è spenta del tutto la memoria di Roma, ognun di noi sa, che Libero, Cittadino, e Romano, tre nomi sono, a cui nulla s'agguaglia, nulla si aggiunge; e a cui e che al posseditore di essi l'odioso nome, o possanza di Re, infamia bensì, e vergogna, e pericoli, e danni può procacciare ma non mai gloria mai nè splendore può procacciare. Quanto più a grado la venerazione nostra, l'obbedienza,l'amore, la gratitudine ti sarebbe, se tu potessi disgombrar la tua mente da quel funesto pensiero, che finchè tieni l'assoluto comando, dubitar sempre, e giustamente ti lascia, se a te, o alla possa tenza tua, ossequio tanto tributasi. Ad alta prova, ma sicura, tu metti, e Roma, e te stesso. + + a linea. Nè io Nè io, per consigliarti un così magnanimao azioneatto, particolar gloria a me stesso procaccio; nè un'atomo pure della tua ne detraggo. Il mio pensiero mio è

246

quello di tutti; l'ardirtelo esporre, non del è del mio coraggio mio la prova, ma della tua sublime virtù più virtù di Trajano sublime; altamente guida gli encomj. Principe, a cui sipropone di distruggereestirpar da radice il Principato, assaiapertamete, e generosamente pur debbe essersi già manifestato, aver egli di Cittadino vero, e non di Principe, l'animo. Tale tu sei,o egregio Trajano; tal ti mostrasti, ed a Roma in pubblico, ed ai tuoi ben'affetti, tra' quali me non disdegni, in privato. Tuo primo, e solo, e più intenso desiderio egli è il far Roma felice, grande, tranquilla, e sicura; ciò chiaramente in una sola parola vuol dire, il farla per sempre liberaLibera. Interprete io a te dei tuoi stessi pensieri, non ti richieggo già di compiacere a noi, ma di soddisfar pienamente a te stesso. Cagione dunque primiera di far tale azionesi grand'atto, parmi averti dimostrato chiaramente essere la vera non meno che la tua vera grandezza, ancola tua possanza, e gloria. tua. E non perchè io creda, che tu alla Repubblica, anteponghi anteponessi te stesso, giammai, ti ho voluto assegnare per prima cagione l'utile privato tuo, ma

per dimostrarti alla faccia di Roma, che tale, e tanto è l'affetto che da essa acquistato nel tuo governo governarla ti sei, che Roma, nessuna felicità sua in alcun conto terrebbe, se a te, prima che a lei, vantaggio, grandezza, ed eterna memoria fama ridondare non ne dovesse.

1° posa

IV.

Dai meriti nostri vive cagioni dimostrarti, ritrarre per cui indurre ti debbi a restituire libertà, non mi sarà così lieve. Ma pure, prima, e potentissima cagione via, e da bastar quasi sola, il desiderarla ardentemente noi tutti; ragion possente per meritarla. E non credere, tu già, che io nel dir libertà altro intender presuma, che di sapere sempre obbedire a Trajano; cioè alle leggi di cui egli è osservatore, e difensore; ma che, cessando egli, possono nella persona d' altro potente al par di lui,quant'esso, un sovvertitore incontrare. Gli animi nostri dunque prontissimi sono a libertà ricevere, ed, ottenuta, a difenderla. Di ciò ti facciano piena fede le tante, e sì spesse congiure contro i passati

247

Principi; le tante volontarie morti di chiari e potenti Cittadini, di vita sfuggiti soltanto per involarsi alla tirannide; l'acerbo odio del nome di Re da ogni Romano, fino ai dì nostri, succhiato col latte; ed oramai trasferito ad ogni illimitata, ed ingiusta possanza, che anche sotto altro nome si eserciti. Grande tu sei troppo, ed io libero troppo mostrare mi debbo per non parere indegno della causa, ch' io tratto, perchè a tacerti io abbia, che il nome d'Imperatore, i mali tutti di quello di Re in se stesso adunando oramai, odioso non meno, che quello di Re ad ogni Romano si è fatto. Tacer non ti posso che in te si amano, si adorano le doti, l'animo, le virtù di Trajano; ma che in te si abborrisce,e si trema, della possanza, dignità, e nome d'Imperator Re. Ad animo generoso, quale il tuo, ardisco io esporre come il primo dei meriti nostri, ciò che ad altro volgare Principe ogni maligno, e vil delatore esporrebbe come il primo dei tradimenti. Sì, Trajano, i Cittadini di Roma pei loro lunghi mali, per

le orribili passate tirannidi, ed in ultimo più efficacemente ancora, pei pochi felici anni del tuo impero, rientrati in se stessi, e ritornati Romani, ogni freno aborriscono, che può impedirli toglier loro d'essere, e di mostrarsi tali; lo abborriscono, ed osano dirtelo per bocca mia. Ma, se cotanta altezza di pensieri dispiacer mai potesse a chi ne diede gli esempj, ed i mezzi, te stesso ne incolpa, o Trajano, che lasciando respirar la città, hai fatto nei Cittadini rivivere la calda memoria dei lor antichi, e sacri diritti, cagione ad un tempo, ed effetto della la passata loro libertà, e grandezza. A voler essere Imperator tu di nome, e di fatti, dovevi adunque colle imperatorie solite violenzeimperiali crudeltà incutere nei Cittadini tremore, e alla oppressa virtù imporre eterno silenzio. Così almeno il meritato odio accquistando, gl'iniqui frutti raccolto ne avresti.Ma, sepoichè di libero governo piaceati l'apparenza mostrarci, perchè, col toglier la tirannideaffatto, non assicurarne in eterno la base? A mezzo beneficiar puossi un Popolo? Beneficiar puossi un Popolo a mezzo? Sollevarlo

248

dall'oppressione perchè affinché altri poi di nuovo riopprimer lo possa, più crudeltà che vera pietade sarebbe. Ma, tu, sarebbe. |Ma tu,, pietoso, umano, giusto e sagace, tai mezzi, forse, hai in pensier d'adoprare, per cui il Principato sia d'ora in poi per essere mite sempre, e giusto fra limiti, e non contrario a virtù? Nè tu ciò credi, nè noi. Un'uomo nella Repubblica saravvi, il quale, o per adozione di Principe, o per sognata eredità, o per elezion di soldati, o anche, se vuolsi, per elezione del Popolo tutto intero, salirà in dignità primaria, sola, perpetua, non frenata, non impedita, e avvalorata anzi da molti, e possenti eserciti? Costui sarà ,( nè altrimenti Roma appellarlo mai puote ;) un tiranno. sarà un Tiranno costui. Forse mite, forse giusto, forse buono, fors'ancheforse ottimo ottimo; ancora; ma odiosissimo sempre a Liberi Cittadini , e ferocissimo mostro e un mostruoso ente riputato; perchè starà in lui, ed in lui solamente soltanto, il non essere volendo nè mite, nè giusto, nè buono. Un Popolo, che in tal guisa pensando, non ha del tutto ancora sovvertite le idee del retto, e quella soltanto legittima autorità quella sola estima, che data, e con limiti, da

chi potè darla può togliersi; un tal Popolo, parmi, merita ancor libertà: e tale, o Trajano, è questo Popolo, che tu colle leggi governi; ed a cui provveder deii, se ti cale la sua gloria, e salvezza, che altri mai, chefuorchè le sacre leggi, governare d'ora innanzi nol possa. Dall'odio dell'autorità tua, e dall'amore immenso di te, che moderatamente la eserciti, puoi dunque vieppiù imparare a conoscere, ed apprezzare e il Popolo tuo, e testesso. A Principe maggior del suo Impero non altrimenti da un libero Cittadino si parla. M'i è noto, e non nego, che sì nella plebe, che fra i patrizj, moltissimi ve n'ha, che dai passati governi nei vizj, e nelle brutture travolti, d'essere Romani non sanno: e tal numero forse, se non soverchia, agguaglia almeno quello su chi caldamente il rimembra. Ma, che perciò? Lascierà l'ottimo Principe, il padre di tutti, di giovare a tutti, perchè gran parte nol merta? La virtù in pregio tornata, la sicurezza pubblica, la bene' incussa vergogna, le severe ben'eseguite leggi, e più d'ogni altra cosa, il chiaro, e sublime

249

23.

esempio, possono, in pochi anni, i guasti a mezzo soltanto far rinsanire, e rivivere; ed i putridi corrotti membri della Repubblica, per la salvezza dei rimanenti, estirpare. Anche al cacciar che Roma fece facea dei Tarquin ij, molti partigiani della tirannide, molti rei, molti vili, molti traditori entro il suo vacillante seno nuovo, e ancor vacillante Stato serbava: ma che? lo splendido esempio d'un Bruto nei figli; le tante, e sì alte virtù dalla stessa necessità procreate; tutto, in breve, contribuiva a far nascere quella Roma libera, alla la cui gloria, e possanza fu poscia angusto termine il Mondo. I Cittadini tutti dividendo io dunque in due parti, dico, che ai buoni dei restituir libertà perché degni ne sono; ai cattivi, perché per mezzo di essa quella di esserlo cessino . E che i vizj tuttidel timore, della licenza, dell'ingiustizia, dell'assoluta autorità in somma siano necessarj figli e veraci, credo, che dai passati fatti dimostrato pienamente ti sia; non meno che, della libertà essere necessarj, ed illustri figli il valore, la giustizia, la fede, i costumi, e quanto in fine può

24.

mai agli uomini assicurare, potenza, gloria, permanente Stato, invidia dei nemici, ammirazione e venerazione dei posteri.>

V.

Dei mezzi di eseguire così magnanima impresa,ora, che, per quanto io seppi, dimostrato ti ho, che per te stesso, meno non men, che per noi, la dei fare, colla libertàstessa, e con vero amore della Patria, di te, e del retto, discorrerò: Nonnon per insegnartelino, che più che a di me li sai ti son noti; ma per convincere pubblicamente i più tiepidi amatori di libertà, che facilifacilissimi sono; mentre i più gli reputano impossibili; ma facili sono, imperante Trajano; ed impossibili purtroppo sotto ogni passato Principe erano; e, se tu non provvedi, per sempre d'ora in poi il sarannolo saran tali.. La legittima autorità in Roma libera stava nella Plebe, e nel Senato. Questi ne rivestivano a vicenda, ed a tempo, i Consoli, i Tribuni, i Dittatori. Cose note, notissime, ma da gran tempo in questo Senato non più mai, e con sommessa voce fuor di questo consesso, tremando, rammemorate. Piacemi quì, col rammentarle altamente,, e col parlarne

250

25.

in non dubbie, nè oscure parole, manifestare a Roma, che sotto Trajano non è delittoil ricordarsi di Roma; l'investigarne la vera grandezza, e libertà; il desiderarne, e provvedere re al rinascimento di essa. Il Console, che d'un' anno d'impero appagavasi, dopo essersi mostrato ai nemici di Roma soldato, ed ai proprij soldati Cittadino, fra le patrie mura pieno di verace gloria, e di patrie virtù, ritornato, nulla perdeva, nel perdere la elettiva sua dignità: ma, aggiunte alle dolci prerogative di libero Cittadino le dolcissime lusinghe di chiara, e meritata ta fama, un più nobile, e durevole impero ritenea, quello che la conosciuta, e verace virtù dà necessariamente sopra chi n'è ammiratore, ed amante. Quindi si componea di Consolari uomini quel venerabil Senato, ch'era per tanti secoli dei Re della Terra il terrorel'ammirazione ad un tempo, e l'ammirazionee il terrore e il contagio.. Le lontane e troppe guerre costrinsero poscia Roma a moltiplicare gli eserciti, e i Capitani; e con somma imprudenza ne lasciò l' impero troppo lungamente il comando ai Cittadini, che tosto cessarono

26.

d'esserlo. I soldati allora, non più dal cuore di Roma, o dall'Italia almeno, ma dalle più rimote provincie tratti; barbari quasi di costumi, e di civiltà; Roma niente, o mal conoscendo; di sangue già ad essa nemico procreati; di libertà vera ignari, la Repubblica nel lor Capitano riposero, se con illustri, e spesse vittorie di molte ricche prede saziandoli, a fomentare i lor vizj, più che ad accrescere la lor disciplina e valore, quel Capitano vie men Romano di loro, pensava. Cesare ebbe primo la vile e crudele baldanza di farsi tacitamente de' suoi soldati Re, per farsi poi della sua patria apertamente tiranno. Non eran più Cittadini que' suoi soldati; e dal cessare essi d'esserlo al cessar la città, non fu, nè esser potea lungoil frattempo; ed un civile moderato governo tosto cangiossi in un militare, e violento. Furono da quel punto in poi il Senato nostro le pretoriane coorti; i Tribuni del Popolo i Centurioni; i sacri Consoli l'Imperator perpetuo, ed unico: E quale? O Roma, dello stesso tuo nome appelarti potesti; e così cangiata, così vilipesa, così straziata, tutto

251

27.

soffrire, e tacerti? _ [ Ma tempo venne, sì tempoil tempo è affin giunto, sì, il tempo, che le tue acerbissime piaghe da medica sovrana man ristorate, ti rifarai più bella, e non men grande, e più saggia. L'Imperator tuo unico, Console e Cittadino vero vuol farsi. Gli eserciti numerosi, e superbi da cui egli ricevuto l'impero non ha, ma che da lui novella, e veramente Romana disciplina ricevettero; riceveano; gli eserciti, che sotto le gloriose sue insegne imparato hanno non meno a sconfiggere e debellare i nemici, che a rispettare; conoscere, amar la Repubblica; gli eserciti in somma,che l'lo aman temendolo, cesseranno per gli umani suoi giusti provvedimenti, d'essere il flagello, e il terrore della loro città. Niuno Imperatore finora dirsi potea Signor del suo esercito, da cui riconosceva il proprio impero, nella cui forza per esercitarlo affidavasi,della cui mobilità, e baldanza ad ogni ora e momento ei tremava. Trajano de' suoi Soldati Imperator veramente , e non schiavo, a fare dell'autorità sua un ben degno uso si appresta, nel fare i Soldati suoi ritornarridivenir Cittadini; gran parte distribuendone, o tutti, nelle tante desolate contrade, sì

28

dell'Italia, che dell'altre provincie dell'Impero, le quali, di uomini esauste, novelli Cittadini richieggono; e aspettano, che in esse l'arti, lasanta agricoltura, il commercio, la felicità ne riportino. E Trajano, a chi tutto è possibile, i Cittadini giàfinora pacifici, avviliti, oziosi, e dai proprij Soldati atterriti, farà ridivenir soldati essi stessi, per la conservazione della verace rinafatta Repubblica: e terribili Soldati, e veri, e Romani saranno, quelli che liberi e non oppressi al di dentro, contro i soli, e veri nemici di Roma, sotto Consoli, o Capitani a tempo, per la propria salvezza salute. combatteranno. Da questa lodevole necessaria, e beata antica mescolanza di nomi, per cui indistinti sono il Cittadino, e il soldato, ogni odiosa differenza, ogni soverchiante possanza, ogni insidia alla libertà viene impedita, tolta, e distrutta. Cittadino, in libera contrada vuol dire, libero, e sicuro posseditore dell' aver suo, dell'onor suo, delle mogli, dei figli, e di se medesimo: ogni uomo tale, è Soldato; e feroce, e tremendo Soldato è , per la difesa di queste

252

29.

veramente sue cose. Non è Soldato, no, per la reaambizione del Capitano, non per l'ingiusta cupidigia di un non saggio Senato. Roma oramai conquistato ha, se non troppo, abbastanza; spandasi pe' vasti confini del suo impero la libertà vera, ed il maschio pensare de' maggiori nostri, e Roma è per se stessa bastantemente difesa. [ Chiaro è,che gli eserciti moltiplicati, immensi, perpetui, sfrenati, e cupidi, frutto di corrotta, e troppo grande Repubblica, ne furono il sovvertimento, ne son gli oppressori, e i distruttori ne saran saranno, , rimanendo. Ma di ciascuno individuo che un'esercito compone, chi a parte a parte l'animo, e i pensieri, e i desiderij ne spiasse, non in migliaia uno ne troverebbe nemico veramente del civile vivere. Uomini sono ; per quanto rozzi, e dissoluti, e corrotti; uomini sono, a cui pienamente render felici, poca terra, queto e sicuro vivere, con moglie, e figli, e libertà, basterebbero: per farli felici: ecco, che ciascun d'essi, più, o men buono, è però Cittadino: or donde mai, donde provviene nasce, che tutti assieme riuniti sono il contrario d'ogni viver civile? Lieve cosa è le ragioni assegnarne. Erranti sempre, patria non

30

conoscono; privi delle domestiche dolcezze, nonconoscono quei potentissimi affetti di padre, e marito, che tanto la umana ferocia rattemprano, e delle altrui sventure compassionevoli ci fanno; avvezzi alle rapine, e alle prede; scialacquatori facilmente diventano delle maleacquistate ricchezze; a continua, e dura obbedienza costretti, quella repressa lor rabbia con inumanità 2 fierissima 1 sfogano poipoi disfogano contro i più deboli di loro; delle loro armi in somma vivendo, ogni ragione, ogni speranza, ogni ordine, ogni loro cittadinanza nell'armi ripongono. Tali sono i soldati purtroppo, non dirò RomaniRomani già non dirò nè di Roma; ma i Soldati, che da Roma nutriti, han Roma distrutta. E tali esser debbono, e sempre saranno i Soldati, che Cittadini non sono; che colla stessa mano la spada, e la marraa vicenda non trattano; che padri non essendo, cessano d'esser figli di vera Repubblica. Ma cotai mostri, la di cui fatale esistenza nella loro unione sola sola riunione consiste, divisi, dispersi, umanamente trattati, uomini ridivengono, e Cittadini,

32.

tacito dubitare, inquieti, e tremanti per la sicurezza dell'Imperio, distrutti che saranno i Soldati; e dalla novità delle cose, che tutte si debbono sconvolgere a tal mutazione, e dagli ostacoli, che soli vedono, e maggiori del vero, ritraggono costoro infinito timore, e perplessità. Romani, pensate, e pesate qual fine vi si propone da questi sconvolgimenti; l'esser liberi la libertà: qual fine dall'addormentarci in seno di passeggera fallace calma; la total distruzione il non essere. E sia vero, che non è, che dispersi appena i Soldati, da ogni parte i nemici di Roma ne invadano l'Impero; e poniamo pur anche, che senza difesa trovandolo, fino alle mura di Roma pervengano: vi nuoceranno questilli più, o quanto vi nocquero i feroci eserciti vostri da Cesare; da Galba; da Ottone; da Vitellio contro di voi stessi condotti? vi nuoceranno mai questi codesti esercitinemici quanto vi nocquero, senza apparenza neppure il velo di guerra, sotto Tiberio, Caio, Claudio, Nerone, e Domiziano, in Roma stessa le pretoriane loro insolenti coorti? dDai Galli assediatori del campidoglio Roma 2 si riscattava 1 coll'oro; ma libera rimanea, e vincitrice non indi a molto tornava. Da questi crudeli Imperatori di Romani eserciti,

254

33.

da questi vili , pacifici Signori di satelliti e schiavi, Roma saccheggiata, arsa, profanata, avvilita, e distrutta, neppure col sangue si riscattava; ed oppressa, e vinta , e doma, ed annichiliata rimaneasi. Controai veri esterni nemici, nella libertà, nella virtù che n'è figlia, nella disperazione stessa, e necessità, si tro ritrovano armi, e coraggio: contro gli oppressori domestici, che prima di opprimerci, corrotti necessariamente ed avviliti ci hanno, nessun'arme si trova daopporre, che se non lagrime, pazienza, e viltà. E se Roma finir pur dovesse, qual fine di lei più degno sarebbe? coll'armi in mano, superati, ma non vinti, generosamente i suoi Cittadini fra le proprie mura in difesa di esse morendo; ovvero come vil gregge, senza neppure ardir attentarsi di piangere, ad uno ad uno svenati da un novello Nerone, che di tal vista piglierebbe diletto? [ Ma, cessi il gran Giove conservatore di Roma, ch'ella a nessuna di tali vicende soggiaccia. I Cittadini resi liberi, e fatti felici, Soldati ai confini dell'Impero diventino; condotti siano da elettivi c Consoli, e proconsoli a tempo; si deponga ogni pensiero di ulteriore conquista; si conosca meglio la vera

grandezza di Roma consistere nell'esser libera, e costumata, non nell'immensità dell'Impero, che i vizj allargando, le virtù rinserra, e costringe; si ripetano in somma in tutto gli antichi principi j, che potente l'han fatta e felice; e quelli, con la saggia e lieve mutazione, che i mutati tempi richiedono, la ritorneranno felice, e potente. L'autorità di Trajano ad ottenere sì magnanimo fine le vaglia. Felice Roma, che in lui,Censore, Riordinatore, e Custore ritrova! felice Trajano, che tanta autorità nelle sue mani vedendosi, così nobile, umano, generoso, e memorabile uso può farne! Riordinare i comizi j, estirpare la venalità, dalla confusione in cui giacciono rimettere in chiaro, e in vigore le prerogative,e i doveri di ciascuna dignità; sui nomi in somma, che quasi nude ossa della estinta Repubblica rimangono, rannestarne una nuova, ma simile per quanto si può all'antica; raffrenare il lusso sterminato; rimettere in piena osservanza le leggi, e per magnanimo esempio sottoporsi visi primo egli stesso: son questi i divini uffici j, a cui è riserbata

255

35.

l'altezza dell'animo di Trajano: son questi gli obblighi immensi che a cotanto Principe avrà Roma: è questa la via, per cui gli onori della divinità se per l'abuso di essi indegnamente finor profanati non si fossero meritamente poi sarebbero a Trajano solo accordati. Ma, se laida adulazione, e incredibile viltà, ed obblio totale di lor decoro, e di se stessi, fece dai maggiori nostri nomare, e venerar come Dei, Cesare, Augusto, ed altri più crudeli, e più vili men grandi di questi; dopo una lunga vita, che i veri Dei non negheranno a Trajano, poichè a far rinascere Roma il sortivano, sacro sarà per se stesso, e memorando, e dDivino, ed eternamente venerato il nome di Trajano uomoTrajano Uomo, che ad uomini oppressi, e non liberi, spontaneamente restituiva, più preziosa assai che la vita, la libertà. ] Gli ostacoli che alla generosa impresa ritrovare incontrare ei potesse, ,( di cui superato il primo della milizia, gli altri tutti per se stessi si appianano) se ad essere superati richiederanno violenza, Roma ne' suoi dritti rientrata userà adoprerà contro que' rei Cittadini, che Cittadini non

sono, la forza; se abbisognerà senno, sagacità, previdenza, e vivi esempli di rara virtù più d'ogni altra cosa, il sublime esempio dell'adoprata virtù , Roma con occhi pietosi rivolgerassi allora a Trajano. Qual sia la dignità ch'eglia se medesimo riserbi, in quella tutte le alte staranno; e s'anco niuna quel non nessuna ne volesse quel il suo grande animo non ne nessuna volesse serbare, Trajano privato, Trajano Cittadino, sarebbe pur sempre Trajano Tribuno, Console, Dittatore, e se più v'ha. Tanto più bello, e più lieto, e più puro allora l'imperar suo, che tutto alla propria virtù, e al libero, e verace amore de' suoi Cittadini il dovrebbe, non all'altezza del grado, non all'insolente baldanza degli eserciti, non al terrore de' suoi eguali. E per presentarti insomma, o virtuoso egregio Uomo, il più alto, e dolce termine della tua gloria, avverrà fors'anco, che la invidia, peste non estirpabile mai, cercherà di lacerarti, e di nuocerti; t'udrai forse, privato, forse, divenuto privato ti udrai, con irriverenza liceziosamente biasimare; ma all'ombra delle leggi per te in forza, e venerazione tornate, godrai tu tranquillo dell'a inesplicabile gioia di essere uomo fra uomini; e dai pochi, liberi, aperti, e non tremanti nemici

256

37.

verrai a conoscere, ed accertarti, che i molti ammiratori, veneratori ed amici tuoi, mentiti non sono.Tutte insomma, ed in te, e per sempre in tuttiannullando le funeste prerogative dell'assolutopotere, cui dà e mantiene la forza, tutte, ed innumero infinito verrai a riacquistare quelle tante, e sì dolci, e sì grandi cui sola può dare e mantener la l' uguaglianza. Privato nascesti, ma in disastrosi tempi, enon liberi. D'uomo, nel suo intero esercitarne l'ufficio, non ti fu dato finora: non quand'eri privato,perchè Cittadino mostrarsi niun' uomo allora s'ardiva attentavasi ; non quand'eri assoluto Principe, perchè uguali non avendo, Cittadin non puoi essere: primo fra gli uomini, e stati, e futuri, diventi dal giorno, in cui dall'Impero a vera cCittadinanza ascendendo,tuo i concittadini tuoi da reo, e lungo servaggio, a libertà promuovi, ed innalzi.

VII.

2° posa.

Ma sempre, malgrado mio, mentre io mi propongo i mezzi di d'esporre annullar la tirannide esporre disegno, non so qual Nume, con irresistibile forza, mi tragge ad esporre, e descrivere i divini effetti, che dalla estiprazione di essa ridonderebbero;

38.

bero; e senza avvedermene quasi, ad enumerarli pursempre trascorro. Cedasi dunque al divino Geniodella lLibertà, ch'egli è certamente l'inspiratorde' miei detti; e, col ragionar degli effetti di essa,in tal maniera l'animo di Trajano si accenda a restituir libertà, e quello dei Romani a, desiderandola, meritarla, che dalla perfetta, concorde, ed intera volontà di chi ardentemente la brama, e di chi umanamente ad accordarla si appresta,vengano ad un tempo, ed a facilitarsene i mezzi,e ad annullarsi gli ostacoli. Già tanti, e tali mi si affollano alla mente i preziosi beni, che dalla riaccquistata libertà ridondar si vedrebbero, ch'ioche io, ripieno il core d'una dolce emozione, turbato l'animo, accesa e trasportata la fantasia da sì diversi, e tutti lieti, e tutti vasti pensieri, non so qual prima, qual dopo ne narri; qual debba accennare, su quale estendermi, di quale tacere: onde per la soverchia voglia di esprimere, non con istudiata eloquenza, che sì alto soggetto la sdegna, ma con semplicità, affetto, e calore, ciò che l'animo tutto mi accende

257

39

invade e consuma, tanto meno temo io di poter dire, quanto più sento che termine al dire mai non porrei. Disordinati accenti, come il core, e la fantasia li detta, interrotti fors'anche da lagrime, e sospiri di verace gioia, saranno gli encomj che da me si udiranno della libertà, e de' vuoi dolcissimi frutti. [ Già già mi si squarcia dagli occhi il tenebroso velo, che la caligine dei passati, e futuri anni secoli involvendo, il pensier nostro nell'augusto termine deli presenti tempi confina. Io veggo, sì veggo, e d'un solo e rapido sguardo la nostra Roma, io veggo qual s'era a'ne' suoi felicissimi tempi, qual'è nei nostri, quale con novella prosperità e grandezza sarà nell'avvenire.nell'avvenir potrà essere. Le venerabili ombre, dei Decj, dei Catoni, degli Emilij, dei Bruti, dei Regoli, e di tanti altri illustri Romani mi si appresentano in lieto aspetto, e magnanima scorta mi si offrono a farmi conoscere quella Roma, ch'essi abitavano; quali le virtù, qual la forza, quanta la felicità di quei Cittadini; qual sanità, e severa osservanza di quelle le leggi; qual plebe, qual Senato, quali eserciti; quanta costanza nell'avversa, quanta modestia nella

40.

nella prospera sorte; qual religione, e culto degli Dei;quanto insomma d'inaudito, e di grande la Repubblica ben'ordinata Repubblica, avesse per la prosperità dei Cittadini suoi radunato. E tutto, quanto quei generosi sSpirti con tanto piaceretrasporto mi svelano agli occhi, tutto diverso, e per l'appunto contrario ioesser veggo essere a ciò che la presente Roma rinserra. Prima virtù di quegli ottimi conosco essere stata il sapere, ed osservare le leggi; nostra purtroppo da gran tempo s'è fatta, il sovverterle, trasgredirle, deluderle, ed ignorarle: e quegli più grande fra noi, con incredibile cecità di giudizio, fu reputato, che con più rovina nostra e disdoro, maggiormente seppe sopra le inermi leggi innalzarsi. La forza de'i Romani animi con maravigliosi esempimostravasi, nel tollerar le militari fatiche, nell'affrontar pericoli per la Repubblica, nel correre lieti e volontarj alla morte, dove dal cessaredei loro individui ne fosse al pubblico ridondato gloria, e vantaggio: la forza dei moderni animi,con eterno vitupero nostro, manifestasimanifestavasi finora nel sopportare, tremando e tacendo, ogni ingiustizia, ogni

258

41

rapina; ogni oltraggio: o se qualche scintilla di Romana fortezza in alcuno, di tempo in tempo simostrava, ad uscire volontariamente di vita per isfuggir la tirannide, soltando gli valea: e dovel'immolarsi i Decj, i Curzj, e tanti altri, in pubblico onore, ed utile tornava, l'uccidersi fra noiquei pochi, che morte a servitù anteponesseal servire anteponeano la morte,, in pubblico danno tornava; poichè un buon Cittadinomeno, dove pochi ne sono, è irreparabile perdita;ed in pubblica vergogna, ed infamia tornava, poichè la generosa morte di quelli dimostrazionevivissima era pur troppo era della viltà di quegli altri tutti, che i forti non vendicavano o non imitavano.. Felicitàsomma, ed unica, era in Roma la sicurezza, e l'uguaglianza; donde i costumi, le domestiche virtù, le vere amicizie, la fede, la patrimonia nasceanocevano: felicità era il vedere felici gli altri; e niuno dalla rovina del congiunto, dell'emulo, del nemico, o dell'amico, traea la propria sicurtà, e grandezza. Ohimè, qual pianto mi accora, se narrare m'i è forza, quale sia stata finora la felicità dei tempi nostri finora!. pPubblica non ve n'è stata mai altra,

42.

che quei brevissimi intervalli, o momenti, in cui si videro dall'usurpato soglio precipitare quei mostri, che fatto aveano fede essere in noi maggior digran lunga l'indegna sofferenza e la viltà, che non in loro la crudeltà efferata. Nerone, G Caio, Domiziano, Ottone, Vitellio, nel proprio uniti tutti, e nel proprio loro Domiziano, trucidati tutti, sangue immersi sepolti,, vittime dei loro delitti, e del tardo furore di pochi, faceano un'ombra di passeggiera felicità conoscere, e gustare dai ai presenti Romani: ma tosto in lagrime di sangue dal barbaro lor successore scontar si facea la loro stolta gioia di Roma.. Privata felicità (apparente, e non vera) in questi orribili tempi è stata soltanto per di que'i pochi infami, che delle libidini, delle estorsioni e ministri, dell'altrui sangue impinguati,dell'atrui pianto pasciuti, fra le rovine pubblichecon baldanza insoffribile inumanità, e impudenza, d'ogni ricchezza, e d'ogni vizio satolli, frale universali tacite grida, nella propria non meno, che nella principesca reità , securi, mostravansi viveano. Sante, sacrosante erano quelle leggi, a cuil'estinta Roma obbediva, appunto perchè Roma

259

43.

le facea; osservate, venerate, temute ell'e erano, perchè ciascun Cittadino rispettava in esse i suoi Concittadini, e se stesso. Inique, trasgredite, vilipese, egravose le nostre, perchè son fatte da uUno; e dall'uno create, dall'altro distrutte, rinvigorite dal terzo, da quell'Uno da questi di bel nuovo annullate dal quarto; quelle riannullate da quell'Uno gli, le perpetue loro rapide, e risibili vicende ben larga prova ne fanno, che non dal ben pubblico, ma dal privato interesse, dall'assoluto capriccio, dalla stolidità, e dalla insania perfino, dettate elle sono. Era il Romano Popolo allora sagace conoscitor de' suoi dritti, difensore acerrimo d'essi, generosoemulatore delle patrizie virtù, ferocissimo in guerra, in pace mitissimo, religioso osservator degli Dei,sobrio, attivo, amator della gloria; e, con avvedutodiscernimento, ogni gloria riponea nella libertà della patria. Il Popolo, che ora di Romano si gode, non meritandolo, il nome soltanto; in ogni crapola, vizij ed eccessi ingolfato, novelli dritti creati si ha, immemore in tutto degli antichi; nonlibero, divertito, vuol'essere; le ricchezze, dai tirannirapite ai Cittadini tremanti, vuole, che ad esso

44

con prodiga mano ritornino in giuochi, in 2 bagordi,in 1 conviti; Soldato più non èNon è più il Popol Soldato;; dei proprij Soldati egli trema; i nemici dell'Impero più non conosce; dei patrizj nemico, e non emulo; sagrilego disprezzatori degli Dei, e ad un tempo di timide e vili superstizioni ripieno: tale, tale è purtroppo ilquel Popolo, che già degnamente figlio si nomava di Marte. Tralascerò di dire qual fosse allora il Senato; non già che un vile timore, perchè io nel novello Senato favelli, mi allacci la lingua; ma so, che non è fra voi, o P.C.Padri Coscritti, spenta la chiara memoria dei grandi a A vi vostri; che non sono dai vostri couori estirpati i preziosi semi delle loro divine virtù; che fino ad ora campo e libertà, non desiderio e possibilità d'esercitarle, mancovvi: e so, che a generosi e gentili animi troppo è grande gastigo la coscienza dei commessi falli, senza che vi si aggiunga l'insopportabile peso della vergogna. Passati sono i più infelici tempi, in cui rimordendo io in Senato de' suoi infami vizj la plebe, e la più vil feccia di Roma, sarei, senza

260

45

volerlo, venuto a rimordere i primi deifra i Senatori. Cancellati sono dai Fasti nostri, e dalla memoria nostra perfino, que' ribaldi, che con empie adulazioni, con sanguinose delazioni, con tradimenti, veleni,concussioni, e delitti in somma orribili, d'ogni genere, ed infiniti, aveano della patrizia gentecontaminato a segno la fama e maestà, che la più scellerata, disprezzabile, ed odiosaaborrita in Roma non vi era. Erano quelli, ed esser tali doveano, i Senatori che ai Neroni, e ai Domiziani toccavano; come voi siete meritamente il Senato,che di Trajano si fregia.

VIII.

Ma, di quanti luttuosi mali ho annoverati finoradei nostri tempi, non ho inteso già incolparne imiseri Cittadini; no; conseguenza necessaria, e funesta era quella delle infami, ed inique Signorie; come necessaria, e fausta conseguenza della divina libertà, dovean'essere, ed erano, le sopraaccennate virtù. E già io di baldanzosa speme, edi profetico spirirto ripieno, antiveggo qual debbafra non molti anni, per la resituita libertà,

46.

tornar Roma, e per infiniti secoli terrore e ammirazione alle genti poi crescere, e mantenersi.Più che convinto è Trajano, che il volere sottoil dominio assoluto d'un solo conservar ma la città,egli è un volerla intieramente distruggere. Non,s'egli eterno vivesse, non, s'egli un'altro Trajano agovernarci lasciasse, e successivamente, e sempre,altri Trajani assumere si potessero all'Impero; non certo allora ridomandar s'udrebbe libertà; poichè, o pieno si avrebbe o così mite sarebbe il servire, che, tranne l'altezza, e l'energia dell'animo, i rimanenti beni della libertà si godrebbero: ma, l'impossibilità di tal cosa, il pericolo estremo, che anche l'ottimo p Principe porta sempre con se, di essere dalla propria illimitata potenza tradito, e corrotto; quel nobile diffidar di se stesso, e de' proprj lumi, in chi maggiori gli ha, più frequente; tutto, tutto addita a Trajano, che la gloria, sicurezza, e vitadi Roma non si dee, nè affidare, nè riporre inun solo. Trajano sa, e vede, che UNO poterpiù di tutti, senza che tutti, ove egli ingiustamente voglia, contro quell'UNO Uno possano,

261

47.

ella è cosa contraria al retto, alla felicità, al buon'ordine, alla Natura. Nè mai vien creato quest'UNO, se non dal delirio di tutti, e dal guasto loro animo, o dall'arte, e fraude di esso. nè mai vien mantenuto, se non dal timore deglidei di tutto, o dei altri molti, e dalla forza di lui. Ed in prova: i Consoli, legittimi Principi, eletti, legittimi ed a + tempo di dodici Littori soltanto, più a pompa che ad altro a difesa, munivano la loro persona, e dignità: gl'Imperatori soli, e perpetui, creati non mai dal volere di tutti, figli non delle leggi, ma delle rotte e vilipese leggi della forza, d'eserciti interi muniscono la non legittima loro autorità, e dietro essi difendono la loro tremante persona. I Consoli, venerati tutti; stimati, se il meritavano; temuti, non più delle leggi; mai non si udì, che uccisi, altro che in battaglia per mano dei nemici, cadessero: gl'Imperatori, o o barbaramente svenati dagli stessi loro eserciti barbaramente trucidati, o dagli adirati, e oppressi Cittadini, ben'ampia fede ne fanno, che il poter l'assoluto, e perpetuo potere di un solo, legittimo non è, poichè la forza sola il mantiene; e ch'egli è pur sempre sopportabile non è lungamente egli mai abborrito, poichè il furore che negli animi di chi

48.

lo sopporta vi soggiace di tempo in tempo giustamente si accende riaccende, mal grado il timore e la forza, lo abbatte e distrugge.

IX.

3°.

Ecco dunque, ecco al tacer degli eserciti, rivivere, rifiorire la libertà. Ecco disperdersi quelle folte te nubi d'armati, che Roma ingombrando, incutono pure, benchè il Principe nol voglia,un fiero timore nel core dei Cittadini ;: e dal timore, virtù nessuna giammai. Ecco Trajano, d'Imperatore Cittadin divenuto, le pretoriane coorti in più gradito, e nobile, e dignitoso corteggio ha cangiate. I Cittadini in folla lo accerchiano; beato sireputa chi più lo ha mirato da presso; lui benedicono; lui vero padre con voci di giubilo gridano: ritorna a poco a poco negli animi lungamente avviliti ed oppressi l'amor della patria (or che patria può dirsi), il verace valore, l'emulazione al ben fare, l'ardente divinao brama furore di acquistarsi con chiare opere eterna la fama. Spianate veggo, arse, e distruttele moli insultanti, che sul Palatino torreggianodestinate ad albergo di assoluto Signore; Trajano

262

49

è il primo ad abbatterle, ed in privata magion ricovrandosi, di ben'altra grandezza fa mostra, che non quei superbi vili Signori nel fare diei quegli loro immensi edificij velo orgoglioso alla lor nullità. Quell'alto seggio, da cui nel Senato ei m' ascolta, egli primo comanda, che agli altrui si pareggi; ben certo è Trajano, che fra gli altri sedendo, non sarà perciò mai fra gli altri confuso. Al grido, che tosto la rapida fama di sì maraviglioso cangiamento fino all'estremità dell' Impero ne porta, in folla vengono da ogni parte, d'ogni età, d'ogni grado, a rimirar co' lor occhi un'uomdivino, una così incredibile, ed inaudita virtù; e testimonij poi ne riportano alle loro genti l'ammirazione, l'amore di Trajano, della patria, della restituita libertà. [ Ogni padre baciando, ed abbracciando i suoi figli d'allegrezza piange, ed esclama: «Figli miei, che tali sol da oggi a «reputarvi, e nomarvi incomincio; Figli miei cari,«assicurati mi siete da oggi, e non pria. Osservando «io le sacre leggi, non pavento che la violenza, «e la crudeltà dai miei Lari vi rapisca; da

50

«voi in tutta sicurezza e pace gli antichi «moribondi occhi mi saran chiusi; voi legittimi«eredi delle sostanze mie, non tremo che spogliati «ne siate + + nè voi, donzellette, dal fianco dei dolci ed amati mariti divelle; non l'ossa mie p..; non l'ossa mie perturbate, e disperse; «non la mia fama, che assai peggio è, calunniata, «e ritolta. Le matrone, che in lor giovinezza tutti i pericoli, tutti gli oltraggi, a cui la beltà espone neitempi di tirannìia, han visto purtroppo da presso; e che, o con fuga, o col tenersi nascoste, se ne sono a gran pena sottratte, alle loro tenere figlie narrando le passate loro vicende durissime, di vero materno pianto lor bagnano il seno; e d'allegrezza, d'esultanza ripiene poi gridano: «Felici voi, donzellette, che ai tempi di «Trajano nasceste! voi che della restituità libertade «in pace godrete; voi che dal fianco dei «dolci, ed amati mariti null'altro mai, che morte «a divellere basterà; voi, che senza tremare, «modesta pompa di bellezza e di costumi ad «un tempo vi sarà concesso di fare). Non vi dorrà, «come amaramente finora a noi dolea, l'esser «madre; poichè di Liberi Cittadini, di virtuosi, di «forti il sarete.«

263

51.

Là veggo il ricco non più tremante, non più sollecito a custodire a nascondere i suoi tesori; che, se male acquistati non sono, intatti glie li serberannole leggi; in vece che i passati Principi, non contenti di spogliarnelo affatto, anco la vita, e la fama sotto il velo di apposti delitti gli toglieano. Quì il povero con innalzata fronte rimiro passeggiarsene pel Foro dell'a oppression dei potenti securo; e dal passato avvilimento e timore, nobile sprone all' acerbato suo core s'è aggiunto, per farsi colla virtùchiaro, e in cittadinanza superare chi di ricchezza lo avanza il soverchia. Ma il lusso, mortifero fomentatore, e principesco padre d'ogni vizio e delitto, non raffrenato, o sbandito da sontuarie leggi, inutili sempre ad estirpare quell'idea, ma bensì dai modesti esempli di Trajano, e dal cangiato dalla cantagiata pensare dei Cittadini opinion dei Romani,, con cittadinesco decoroe vantaggio, rivolto è il lusso soltanto alla magnificenza dei pubblici edifizij. Le immense ville, boschi,e giardini, che l'Italia tutta occupando, d'utili e robusti abitatori la spogliano, al pristino aratrorestituiti, fanno liete di dorate copiose messi fan liete le

52.

novelle famiglie di liberi agricoltori; e que' luoghi sì lungamente stati il ricovero d'ogni ozioe mollezza, testimonj ritornano delle antiche domestiche virtù; ossequio ai genitori ne' figli;verace amore nei padri; modestia e fede nelle mogli; maschia fierezza ne' giovani alla libertà educati; maturo consiglio, avvedimentoprovido, e timor nessuno, ne' vecchi in libertà vissuti; pace fra i vicini; amorevolezza fra i congiunti; parsimonia, ed innocente letizia fratutti.Le tremule voci ascolto dei vecchi, a cui finorala male spesa, e con fatica serbata vita incresceva, felicitar se stessi d'averla fin quì strascinata, poichè a sì lieto giorno di veder rinascer Repubblica conservata pur l'hanno. Contenti muoiono; han visto Trajano. La gioventù baldanzosa, dove per l'addietro ne'i Teatri, ne'i cCirchi, negli osceni conviti, e fra gl'infami gladiatori perfino per anco, il suo tempo, con danno espresso di salute, di costumi, e di virile animo, consumava; eccola scesa di bel nuovo nel

264

53.

Campo di Marte: là di feroci destrieri domando domar la la possa possanza; quì con generosa lotta addestrando addestrare a militar fatica le robuste, libere, e non più contaminate sue membra; altrove di nobil sudore sotto le pesanti armi cospersa, nell'acqua lanciandosi, con forte nuoto del rigonfio soverchiare del Tevere l'ondea;soverchia per tutto mostrarsi crescente speme alla Repubblica, dolce,e verace sollievo a' suoi genitori, ammirazione, maraviglia e terrore ai nemici. Già veggo odo nel Foro risorta quella maschia, libera, Romana in somma eloquenza, per cui dalla tribuna tuonando, là i popolari Tribuni, quì i Consoli, d'importanti Leggi, del muover guerra, dell' accordar pace discutono. Oratori veri son quelli, a cui la sublimità del soggetto materia al ragionare mancar mai non lascia; a cui libertà, maestra dell'energico parlare primiera, di lodevole ardire, di caldo amor per la patria, e di tenace costanza soccorre. Ma dispersi, avviliti, e confusi tacciono quegli altri parlatori tanti, che nella lunga nostra servitù d'oOratori il nome usurpavansi; colpa de' tempi, nol niego; ma di loro essi non meno, che con

54.

sordide adulazioni così nobile arte prostituivano;mentre, se libero non era il parlare, liberissimo era per sempre il tacersi.In questo augusto Senato già più non odo, con sì poca maestà di tal'ordine, contendere i giorni interi per decretare a gara mentiti, ed infami onori al vizio imperante; non più conoscere delle concussioni dei Proconsoli, e Questori nelledesolate provincie; non più le reciproche accuse di lesa maestà; non più d'esigli, di confische,di morti, di proscrizioni: il Senato di Romaal suo antico e sacro uffizio riassunto, alla sicurezza dei Cittadini veglia, e provvede; la pace mantiene, ove con decoro del Romano Popolo mantenersi ella possa; la guerra ordina, e per mezzo di Cittadini Soldati, e di Capitani Cittadini, coll'antica virtù e felicità ogni guerra più disastrosa, e terribile vince. La sacra via, che al Campidoglio conduce, un' altra volta di veri Romani trionfi si adorna: enon sovra eccelso carro un'Imperatore, coi nemici, che visti non ha, effeminato, ed imbelle; coi

264

55.

proprij Soldati timido , inesperto Capitano; coi Cittadini suoi crudele, assoluto, e feroce; ma un'Imperator Soldato, un'Imperator Cittadino, un'Imperator sottoposto alle leggi, rimiro tra i veri applausi di libera gioia modestamente ascendere al Campidoglio, e del proprio valore, e di quel de' Soldati ascrivere piamente al solo massimo Giove la cagione, ed i frutti.Delle superbe statue, e marmoree immagini, che il maggior Foro, ed i pubblici edifizij non ben dirò se più adornano, o sfregiano, gran parte abbattute ne veggo, ben giusto e dovuto scherno allainsultata plebe rimanersi nel fango. Le poche erette alla vera virtù, che in liberi Cittadini con manifesto utile della Repubblica si mostrasse, rimangono; ovvero, se esse dallo sfacciato vizio tolte , giacean vilipese, or che a vicenda la virtù ripreso ha l'impero, rialzate, rifatte, riadorate si veggono: e fra queste, sola di chi l'Impero assoluto tenesse, per tutto coronata di fiori, accerchiata di prosternati Cittadini, torreggia l'a immagine di Trajano. Ritornato in

56.

onore, per la rarità e la scelta, ciò che, per la sterminata quantità e la prostituzione, avea intieramente cessato di esserlo, si riaccenderanno a virtù i cuori dei Cittadini; si riudranno que' generosi, magnanimi, inauditisforzi, che per la patria si videro così diversi, così frequenti in Roma già libera; e ad ottenere pubbliche statue, a mille a mille gareggerano no i Cittadini Romani in virtù, allorchè dimostrato ben fia, che non più ottenute mai, senza essere veramente meritate, verranno.Le ultime provincie dell'Impero, se acquistare sopra liberi popoli sono, in libertà, Romana, tornate, memori della loro antica, null'altro avvedendosi d'aver perduto nell'esser vinte da Roma, che la loro barbarie, tantopiù diverranno Romane, quanto all'ombradi migliori leggi, più ricche, secure, e liberesaranno. A difender se stesse dall'invasion dei nemici basteranno i lor Popoli con disciplina Romana, da Roma Capitano condotti; ed a non mai ribellarsi daRoma, basterà loro la perpetua certezza

266

57.

di non essere da ribaldi, avari, ed assoluti Ministri predate, oppresse, e sconvolte. Se ad assoluto potere diRe le avranno sottratte le Romane armi, ritolte, tanto più lieve sarà, di serve divenute compagne, nell'ordine,nella fede, nella felicità mantenerle. Nell'a Italia intera nè l'ombra pure d'un Soldato veggo; più miro; iCittadini vi moltiplicano in folla; e se Roma hanemici, Soldati son tutti Soldati, e la salvano; ma se Roma ha un tiranno, cittadini son tutti, e la spengono. Già già questa Roma seconda, la prima in virtù agguagliando, la sovravanza in fama, e in felicità. Edi tanta virtù, di così lieto vivere, di chiarezza sìluminosa, di nome sì venerando e terribile, più cherestitutore, il novel creatore è Trajano. Non Romolocol fondar la città, poichè libera intieramente nonla lasciava; non Bruto col cacciarne i tiranni,poichè egli a se stesso Signoria non toglieva nessuna non ritoglieva, anzi insieme con la propria e pubblica libertà, eminenza di grado si procacciava ad un tempo a se stesso;; non i tanti, e tanti nostri EroiCittadini col servire, e difendere, ed accrescere Roma,poichè ai doveri di Cittadino col latte succhiati

58.

soddisfaceano; niuno per certo, di questi agguagliare si potrà mai a Trajano: a Trajano, che di Signore assoluto Padrone di essa, sen facea Cittadino; che di schiava, libera la tornava; che di avvilita, grande, di contaminata, pura, di viziosa in somma, rea, scellerata ed infame, la trasmutava in giusta, costumata, e d'ogni alta virtù vivo specchio, ed esempio. [ Trajano, nato tremante, e non libero sotto l'impero di Claudio, sfuggito per miracoloso volere dei nNumi dalla persecutrice crudeltà dei successori susseguenti Tiranni,, e pervenuto all'impero finalmente, avendo egli per propria esperienza nell'orribile stato di assoluta Signoria conosciuto, non meno i timori, e l'incertezza, e l'impossibilità d'esercitar la virtù in chi serve, che i timori, i rimorsi, e la viltà di chi assoluto comanda; Trajano sceglieva, come più nobile e più sicura, e sola dignità veramente degna dell'uomo di farsi, e d'essere (a) (a)(maiuscolo) Cittadino di Roma. Cittadino di Roma. eE per esserlo egli con sicurtà e diletto, un tantocosì prezioso tanto bene a tutti gli uomini del Romano Impero viventi, e nei futuri tempi ai più lontani nepoti, sotto custodia di ben restituite leggi, assicurava in eterno.

X.

A così immensa gloria, un bene non minore di essa, un dono 2 prezioso1 dai Celesti Numi accordato soltanto alla virtù, ed ai generosi e liberi petti, aggiungerai

267

59.

o Trajano. Ripatriata per te in Roma la finora proscritta santa Amicizia, tu, benchè stato Principe, Cittadin diventato uomo ridivenuto,, ne gusterai quella non pria conosciuta reciproca , divina dolcezza; di manifestare interamentte il tuo core, e vedere apertamente l'altrui; di dire il vero, e d'udirlo.

--------------------------

«Dicesi, che Trajano, e l'ascoltante Senato, inteneriti , da «questa orazione, piangessero; ed e che a Plinio molta gloria «ne rimase ridondava ridondasse: ; ma a Trajano rimase ne rimase a Trajano l'Impero, a Roma, «e al Senato, ed a Plinio stesso, la servitù il Servaggio.»